Il Bosco che non c’è più

di Mario Torrente

Se non fossero andati quasi tutti a fuoco, oggi ad Erice avremmo un grande bosco con alberi ultra secolari, maestosi, dalle alte chiome e dai tronchi imponenti. Per di più “abitato” da tanti animali e con un sottobosco vivo e rigoglioso. Come era un tempo. Come lo ricordano i muntisi. Ma di quel meraviglioso bosco che avvolgeva il versante nord orientale del Monte oggi non resta più nulla. Se non qualche albero sopravvissuto alla devastazione degli incendi. Madre Natura, nonostante tutte le offese ricevute, pian piano sta provando a riprendersi i suoi spazi, ma con la desertificazione che incombe su terreni sempre più brulli. E da dove non sgorga più acqua. Quando invece questa montagna era piena di fonti e sorgenti.

Il bosco dei Runzi si estendeva per circa 60 ettari nel versante nord orientale della montagna di Erice. Era un bosco talmente fitto che a guardarlo dal Balio o dal Quartiere Spagnolo sembrava un broccolo. Ed infatti i muntisi lo chiamavano proprio così, “u bruccolo”, tanto era pieno di alberi. I primi furono piantati dal 1872 in poi dal Conte Agostino Pepoli e successivamente, dagli anni 60, dalla Forestale in altre zone, come nell’area del Pietrale su una superficie di circa 10 ettari.

Tutti questi alberi venivano curati con periodici interventi di manutenzione e politiche di riforestazione, che nella montgagna di Erice sono passati anche nelle aree demaniali di Martogna e San Matteo, dove i boschi si si estendevano per oltre 40 ettari ciascuno. E poi c’erano tutti gli alberi dalle parti di Sant’Anna ed in altre zone del Monte, come nei pressi della Casazza e vicino Fontanarossa, dove fino a pochi anni fa c’era una bellissima lecceta. Insomma, complessivamente il Monte era avvolto da qualcosa come 200 ettari di area boscata. Praticamente un terzo di tutto il demanio forestale della montagna di Erice, in tutto circa 600 ettari. Altri tempi, di cui oggi si sente la mancanza.

Adesso invece più che gli ettari boscati si possono contare i cimiteri di alberi bruciati e le aree rimaste completamente spoglie. Brulle e con poca, pochissima vita. Un dato tra tutti: nel 2021 a Monte Erice, in base al Catasto degli incendi, sono andati a fuoco 433 ettari di montagna, di cui 364 a San Matteo nel terribile rogo del 25 luglio. E di questi, 39 ettari erano superficie boscata. Ma i danni riguardano il sottobosco e tutto l’universo di biodiversità ridotto in cenere.

L’anno scorso invece è toccato a Martogna nel vasto incendio del 5 maggio. Ancora si attendono i dati ufficiali, ma le stime si aggirano attorno ai 200 ettari nel versante che va da pizzo Argenteria a Castellazzo, arrivando quasi alla curva di San Nicola con mezzo bosco di Martogna che praticamente non esiste più. E va avanti così da anni. Ogni estate è un autentico bollettino di guerra. E incendio dopo incendio sono finiti con lo scomparire molti boschi, come quello dei Runzi, che fino a pochi decenni addietro ricopriva tutto il versante del Monte, praticamente il lato sotto il Castello di Venere. Ma di quel grande polmone verde, che dava aria buona e ancorava saldamente la montagna, purtroppo non è rimasto quasi più niente, se non un po’ di bosco nella parte alta, sotto la Torretta Pepoli, e qualche grande pino sopravvissuto a decenni di fuoco.

Alberi per lo più “miracolati”, ultrasecolari con grandi tronchi e chiome che svettano verso il cielo, ma che si contano sulle dita di una mano monca. Tra questi c’è anche il meraviglioso e grande frassino proprio all’inizio del sentiero dei Runzi che risale verso Erice e dove, dopo decenni di fuoco e devastazione, la natura sta provando a riprendersi i suoi spazi, con una ricrescita naturale, soprattutto di pini. Ma ogni tanto si vede anche qualche castagno, che ha iniziato a dare i suoi primi frutti. E poi ci sono i lecci e le roverelle che, con un minimo di manutenzione, tagliando i rami bassi, potrebbero crescere in altezza nel giro di pochi anni. Formando nuove zone alberate. Servono insomma interventi di manutenzione per aiutare il bosco a crescere. Ma anche apposite piantumazioni da parte degli enti preposti, a partire dalla ex Azienda Foreste, oggi chiamata Dipartimento dello sviluppo rurale e territoriale della Regione Siciliana. Ma pure il Comune di Erice potrebbe fare la sua parte nelle aree di propria competenza.

Oggi più che mai la riforestazione dell’antico Monte San Giuliano rappresenta del resto una priorità. La crisi climatica ed i problemi legati al dissesto idrogeologico impongono la necessità di mettere in campo mirate politiche ambientali. Ed il primo passo da fare per segnare un concreto punto di svolta è piantare sempre più alberi come fece il Conte Agostino Pepoli 150 anni fa. E qualche albero, nonostante tutto, è riuscito ad arrivare al 21esimo secolo, rappresentando in tutto e per tutto un monumento da difendere. Ed un patrimonio naturalistico da preservare ed aiutare a crescere. E per farlo serve l’aiuto di tutti.