Il Libro di Pietra

di Mario Torrente
Uno dei tratti più affascinanti delle Mura Elimo-Puniche di Erice è quello tra Porta Carmine e Porta Spada. Qui si può cogliere l’imponenza di questa opera faraonica, che con i suoi oltre 2500 anni di storia è tra i monumenti più antichi e meglio conservati della Sicilia. I massi megalitici che la compongono rappresentano le “pagine” di un avvincente Libro di pietra, da leggere semplicemente camminando e osservando, che ci porta indietro di millenni, al tempo dell’arrivo degli Elimi ad Erice, che loro chiamarono Iruka. Di questo misterioso popolo si sa poco. Tra le ipotesi sulla loro provenienza avanzate dagli studiosi c’è quella che porta nel mar Egeo, dalle parti di Troia prima della fuga di Enea raccontata da Virgilio.
Gli Elimi potrebbero essere esuli scampati alla distruzione della città di re Priamo approdando nella cuspide occidentale della Sicilia, dove fondarono Erice e Segesta. E la cinta muraria, datata attorno al sesto secolo avanti Cristo, ci racconta proprio di questo popolo e di chi venne dopo, i Punici, che ai primi massi di epoca elima misero un secondo strato di blocchi, meglio squadrati ed intagliati rispetto ai primi, che invece appaiono decisamente meno lavorati e più grandi al punto da essere definiti “megalitici”. Talmente pesanti, in alcuni casi di quasi due metri di lunghezza, da fare sorgere una domanda: come hanno fatto gli uomini di allora a trasportare dei blocchi così enormi, sollevandoli a diversi metri di altezza? Un mistero, considerati i mezzi di allora. Di sicuro c’era bisogno di davvero tanta forza di braccia. Forse di uomini dalla imponente stazza. Quasi dei giganti. E probabilmente sono stati proprio delle persone dalla smisurata forza a dare una “mano” in quel cantiere di oltre venticinque secoli addietro. Non a caso le antichissime fortificazioni di Erice vengono chiamate anche Mura Ciclopiche. Affondando le loro origini nel mito. Ma anche nella storia.
Da quanto si legge nei libri, sempre giostrandosi tra le fonti a disposizione dei “cronisti” del tempo e le ipotesi di studiosi e archeologi, i Ciclopi furono, assieme ai Sicani, i primi abitatori della Sicilia: erano pastori, con due occhi (e non uno come spesso vengono raffigurati a partire dal più famoso dei Ciclopi, il Polifemo dell’Odissea) ma sembrerebbe piuttosto alti e robusti. Tanto da potere sollevare i blocchi megalitici che formano la cinta muraria ericina. E scavando, più si scende giù verso le fondamenta più questi massi sono grossi. Immensi. Poco lavorati, trasportati dal punto di estrazione al cantiere e quindi posizionati nello scacchiere di pietre di svariate dimensioni e consistenza che ha fatto prendere forma alle mura.
Una seconda cinta muraria si trova poco sotto, completamente sotto terra e nascosta dal bosco. Si vedono solo pochi massi, simili, anche per le dimensioni e le angolature, a quelli che si trovano nella base e sottoterra nelle fortificazioni della cinta urbana: si tratta della contro-muraglia, che anticamente era la prima linea difensiva di Erice, quella dove si facevano le guerre tirando pietre e frecce, abbracciando il perimetro che va da Porta Spada fino alla zona della chiesa di Santa Oliva, praticamente dove oggi ci sono i campi di tennis.
Dunque i Ciclopi potrebbero essere stati la “manovalanza” che ha materialmente lavorato alle Mura Elimo-Puniche, che sono il monumento più antico di Erice, mettendo materialmente i massi megalitici dove sono rimasti negli ultimi 2500 anni. Resistendo a tutto ed a tutti. Soprattutto alla mano degli uomini, che nei secoli hanno attinto dalle “vecchie” fortificazioni per recuperare materiale da riutilizzare per le nuove costruzioni.
Le Mura Elimo-Puniche di Erice sono infatti un po’ come il Colosseo di Roma che pezzo dopo pezzo è stato smontato per costruire altri edifici della città. Lo stesso è successo ad Erice, dove le pietre delle mura e dei torrioni sono servite a fabbricare chiese e palazzi. Come avvenuto del resto con i marmi del Tempio di Venere, che oggi non esiste più. Ciò che si vede nella rocca che ospitò in precedenza il santuario cartaginese di Astarte, prima forse un luogo culto dedicato alla Dea Madre o ad altra divinità femminile, è infatti il Castello Normanno, eretto attorno al 1100 dopo la cacciata degli arabi da Erice, che loro chiamarono Gebel-Hamed. Con i Normanni divenne invece Monte San Giuliano. Solo negli anni Trenta riprese il nome dato dai Romani, Eryx, che affonda le sue origini nel mito. Ed il luogo di culto della dea dell’amore, che fu tanto caro all’Impero tanto da dedicare un tempio a Venere Ericina a Roma, con tanto di moneta battuta, è stato del tutto smantellato ed i suoi materiali riconvertiti in altro, come nelle croci che si vedono ben visibili sul lato esterno della Matrice, quasi a volere sancire la vittoria del Cristianesimo sul Paganesimo.
I blocchi delle mura hanno invece fornito materiale edile per secoli, costruendo altrove e riducendo l’altezza della cortina e delle 16 torri (che inizialmente erano 25), che anticamente avevano anche gli alloggi per i soldati con il tetto fatto di tegole. Sicuramente due mila anni fa dovevano colpire parecchio per la loro imponenza e maestosità. E mentre pietra dopo pietra la cinta muraria continuava ad abbassarsi e ad assottigliarsi spogliata dei suoi blocchi ed elementi portanti, il piano di calpestio si andava alzando sempre più, anche per i rifiuti scaricati in quelle che divenne una discarica fuori il centro abitato. Solo alla fine dell’Ottocento si iniziò a scavare e “capire” l’immenso valore archeologico di quelle fortificazioni che furono degli Elimi e dei Punici. Ma anche dei Romani e dei Normanni. Perché in questo Libro di pietra ognuno ha scritto più di una pagina lasciato il proprio segno.
Andando su con lo sguardo, le pietre diventano man mano più piccole e leggere: si va dalla mastodontica base elima di blocchi calcarei, alla fascia intermedia punica di conci ben squadrati a quella medievale che, oltre al livello superiore del tratto più antico, comprende tutto l’itinerario che da Porta Trapani arriva fino a metà della via Rabadà. Questa è la parte “nuova”, fatta dopo l’ampliamento disposto dal 1200 in poi con l’arrivo degli Aragonesi. Nuova, come ovvio, si fa per dire, visto che parliamo di settecento e passa anni di storia. Ma decisamente moderna rispetto a quella di Porta Carmine e Porta Spada, dove invece si “viaggia” nell’ordine dei millenni e si può “leggere” la storia di Erice attraverso le sue pietre lungo l’itinerario delle mura, lungo quasi un chilometro. Anche da un punto di vista geologico, perchè osservando bene su questi blocchi di pietra calcarea sono ben visibili i segni dei cespi di corallo e altri reperti fossili lasciati quando questa montagna, milioni di anni addietro, era sotto il mare. Adesso qui questi massi si incontrano con le nuvole ed il mare sta poco più di settecento metri sotto.
Insomma, percorrere questi sentieri va decisamente oltre la semplice idea di passeggiata: è un vero e proprio tuffo nel passato, dove il cammino si carica di emozioni e suggestioni. Qui si va davvero sui passi degli Elimi, dei Punici e dei Ciclopi. Ma immaginateli con due occhi, intenti a lavorare la pietra e con tanta di quella forza da potere fare sforzi sovra umani sollevando questi immensi macigni. Senza le gru e l’aiuto delle tecnologie arrivate dopo. Anche se, per quanto potessero essere forzuti, resta sempre la domanda iniziale: ma come hanno fatto? E questo rimane un mistero, uno dei tanti di questo luogo incantato, così ricco di bellezza e leggenda. Di natura e cultura. Di pace dei sensi e ricarica dell’anima. E dove una semplice passeggiata diventa un racconto tra mito e storia. Che qui si intrecciano in un tutt’uno restando impresse nel grande “Libro di pietra” delle Mura di Erice.