Facciamo il Parco di Monte Erice?

La domanda nasce spontanea. Perché non si è puntato all’istituzione di un vero e proprio Parco per tutelare la montagna di Erice? Mettendo così in campo una strategia unica e tutti gli strumenti in grado di valorizzare, sotto la cabina di regia di un Ente Parco, il grande patrimonio ambientale, storico, culturale ed archeologico del Monte? Che è un universo quanto mai variegato. Magari troppo ricco di spunti. Di cose da vedere e da raccontare. Ma sono tutte queste diverse “anime” che fanno di Erice…Erice!

Prima di continuare, però, nei tempi del social e delle poche righe per dire tutto (e niente), una premessa è più che doverosa. In questo post parlo di Erice e di ciò che (a mio modesto parere) si potrebbe fare per valorizzare la montagna che fu della dea dell’amore. Il testo è volutamente lungo. Perché le parole servono ad esporre delle idee.

Ad Erice c’è sempre stata vita. E tutto ha sempre ruotato attorno alla figura femminile, vista come simbolo di fertilità e prosperità. Il motore della vita. La montagna che fu della dea dell’amore ha sempre avuto il volto di una donna: la grande Madre, Astarte, Venere, con le sue vestali. In un contesto dove il culto della dea, con i suoi riti dell’amorea, si è sempre amalgamato con la natura portando avanti il messaggio della rinascita e dell’abbondanza. Dei buoni auspici. Di una spiritualità che fin dai tempi remoti ha preso casa da queste parti. Senza andare più via. Ma questa è anche la montagna delle suore di clausura che hanno fatto prendere forma (e gusto) alla pasticceria conventuale. Qui gli itinerari naturalistici si intrecciano con quelli della gastronomia, dell’artigianato ed ai percorsi della fede che portano davanti alla meravigliosa immagine della Madonna di Custonaci.

Una Montagna a pieno titolo con la “M” maiuscola”. Che rappresenta una miniera da dove “estrarre” bellezza, cultura, tradizione, ambiente. Paesaggi da condividere con il mondo. Nebbia permettendo. Ma anche la nebbia, che qui chiamano l’abbraccio di Venere, ha il suo fascino. Eh sì, perché qui tutto è incanto. E meraviglia che seduce. Che entra dritto al cuore.

Un quadro dalla grande bellezza insomma, che oggi appare però spezzettato in tanti tasselli. Quasi fosse un puzzle da comporre. Uno di quelli non facili da fare. Ma che alla fine, se ci riesci, è da incorniciare per metterlo nel salotto buono di casa.  Però prima bisogna riuscire a mettere ogni pezzo al suo posto. E non è facile. Per il sol motivo che si parla di uno dei posti più particolari e affascinanti del mondo. Da dove un tempo passava tutto il mondo conosciuto che, andando per mare, faceva tappa qui. E ancora oggi questo luogo è punto di crocevia. E luogo di incontro.

Finora l’impressione è infatti di avere tante “isole”, ma in piena montagna. La sfida è riuscire a collegarle, mettendole a sistema. Vediamo come è fatto questo “arcipelago” muntiso.

Innanzitutto c’è il centro storico di Erice, con il suo borgo, le chiese, i musei, i siti archeologici, a partire dal Tempio di Venere. Con le peculiarità gastronomiche ed artigianali. Ed ancora il carico di racconti e leggende che fanno di questo posto una vera e propria “capsula” per viaggiare nel tempo. Ma dove la sensazione è che il tempo si sia fermato per davvero. Poi ci sono le millenarie mura elimo puniche, con il loro carico di storia e mito che ci riporta indietro ai Ciclopi, agli Elimi ed ai Punici. Poi ci sono i sentieri che permettono di scoprire la montagna in ogni suo angolo. Panorami mozzafiato compresi. Poi c’è l’antico bosco. L’ultimo rimasto, che da anni attende di essere valorizzato, rappresentando qualcosa di autenticamente unico. Passeggiare da queste parti è un autentico toccasana per l’anima. Ed anche per il corpo. Un tempo, però, c’erano molti più alberi in tutta la montagna. Ma incendio dopo incendio, alla fine il Monte ha finito col perdere la sua criniera verde. E così buona parte del patrimonio naturalistico della montagna si è stato ridotto in cenere, come la “pineta” dei Runzi, chiamata cosi anche se in realtà era un vero e proprio bosco: c’erano infatti pini, noci, castagni, mandorli e alberi di frutta piantati dal Conte Agostino Pepoli attorno al 1870. Fu lui a sistemare questo versante della montagna allora chiamata di San Giuliano, realizzando anche la Torretta Pepoli e la scalinata che porta giù, dove un tempo c’era la fontanella dei Runzi, famosa per la purezza e freschezza delle sue acque. Il bosco era poi talmente fitto che a guardarlo da Erice assomigliava ad un broccolo. Tant’è che i muntisi lo chiamavano “u broccolo”. Si estendeva su un’area di circa 60 ettari. Ed era pieno di selvaggina. Tutto andato distrutto dagli incendi. Tristezza infinita.

Adesso nel versante sotto il Castello di Venere la natura sta provando a riprendersi i suoi spazi. Stanno venendo su, oltre ai pini, anche dei  castagni ed altri alberelli. Speriamo che “u broccolo” possa tornare a riempire col suo verde questo versante del Monte. Ma serve l’aiuto dell’uomo. Bisogna piantare nuovi alberi e farli venire su. Come fatto negli anni 50 con i lecci che ancora oggi danno il benvenuto quando si arriva ad Erice in quella “galleria” tutta verde poco prima di porta Trapani. Piantiamoli questi alberi. E aiutiamo quelli che già ci sono a restare in piedi, magari liberandoli dall’edera. E alleggerendo un po’ i rami. Un Ente Parco potrebbe occuparsi, in via prioritaria ed esclusiva, di tutte le politiche “green” da mettere in campo in questa meravigliosa montagna. Che aspetta di rinascere a nuova vita. Come ha sempre fatto nei secoli. La storia lo insegna.

Ma ci sono ancora altri “poi”. Restando in tema di alberi, oltre al bosco che costeggia le mura di Erice, resistono le aree demaniali di San Matteo e Martogna. Anche queste minacciate dagli incendi, con le fiamme che hanno divorato tanta macchia mediterranea. E moltissimi alberi che davano tanta area buona.

Martogna si affaccia proprio su Trapani, regalando degli scorci sulla città a forma di falce che si allunga verso il mare delle isole Egadi. Qui si ha davvero la sensazione di essere una piccola oasi naturalistica ad un tiro di schioppo dal brusio della città, con un trekking che parte dal centro urbano di Casa Santa e che permette di risalire questo versante del Monte, arrivando fino ad Erice godendosi dei panorami a dir poco mozzafiato. Un’escursione che può anche limitarsi ad una mini escursione ad anello tra Sant’Anna ed il “Castiddazzu”. Questa zona si presta a molte attività all’insegna dell’outdoor, anche per quel che riguarda l’orienteering e la mountain bike, con i percorsi di downhill o altre discipline. Ma tra i tavoli da pic-nic ed aree attrezzate, da qui possono partire degli instawalk per “catturare” i colori del tramonto con il sole che cala, in base al periodo, o in mare o dietro le isole Egadi. Creando un suggestivo effetto con la falce di Trapani che si accende al crepuscolo.

A San Matteo c’è invece  anche un allevamento dell’asino pantesco ed un bellissimo museo agroforestale. Sicuramente da visitare. Poco più avanti, prima del belvedere mozzafiato su Bonagia ed il suo golfo, sulla piana un tempo ricca di alberi, c’è la chiesetta paleocristiana di San Matteo. Ed in questo versante del monte ci sono tante altre chiese rupestri, come quella di Santa Maria Maggiore, dell’Addolorata e di Sant’Ippolito, dove ancora si intravede un affresco di San Giorgio Vendicatore. Certo, andrebbero ristrutturate. E messe in un circuito per gli escursionisti come tutti gli altri “tesori” della montagna di Erice, che fu il teatro della prima guerra punica tra Romani e Cartaginesi. Come sappiamo, il conflitto, che allora decise le sorti (e gli equilibri) nel Mediterraneo si concluse con la battaglia delle Egadi del 10 marzo 240 avanti Cristo, vinta dalla flotta Romana guidata dal generale Lutazio Catulo. Ma quella guerra venne combattuta per anni proprio lungo la montagna di Erice, dove sono stati trovati tanti reperti e testimonianze. Si parla anche dei resti di un muro risalente al quel periodo. Ed anche palle in pietra trovate nella zona sotto il castello di Venere. E proprio nei pressi dei Difali di recente è stato scoperto un qanat simile a quello di Palermo. C’è poi la grotta di Polifemo, con i suoi pittogrammi antichi cinque mila anni che nei giorni del solstizio d’estate sono illuminati dagli ultimi raggi del sole al tramonto. Regalando un effetto davvero suggestivo. In un’atmosfera quasi magica.

Restando in tema di allineamenti solari, ci sono poi le porte delle Mura Elimo Puniche, dove il sole “entra” al tramonto in base al periodo: Porta Trapani per il solstizio d’inverno, Porta Spada con il solstizio d’estate, Porta Carmine con i due equinozi. Il libro di pietra di Erice che passa anche dalle portielle e dalle lettere puniche lungo la cinta muraria, continuando per il caratteristico basolato delle strade del borgo medievale per continuare lungo tutta la montagna. Tant’è che dalle parte del “Castiddazzu” c’è una pietra forata, ribattezzata l’occhio di Ra, che inquadra perfettamente il sole al tramonto nei giorni del solstizio d’inverno. Dalla parte opposta c’è pizzo Argenteria ed il Santuario di Sant’Anna, con altri itinerari religiosi. Nell’altro lato della montagna, nel versante che guarda verso Cofano, si va invece sulle tracce dei trasporti del quadro della Madonna di Custonaci. E con l’elenco degli “e poi” potrei continuare ancora a lungo. Mi fermo qui.

Ora, la mia domanda resta sempre la stessa: davanti a questo puzzle con tanti pezzi sparsi per tutta la montagna, perché non si punta a mettere tutto a sistema sotto un’unica regia attraverso l’istituzione di un Ente Parco o a qualsiasi altra formula in modo  da tutelare questo immenso patrimonio naturalistico, culturale e storico? Creando una unica offerta in un disegno organico e con un solo coordinamento, piuttosto che restare intrappolati nei reticolo delle singole competenze tra questo o quell’ente. Per la verità, nel 2016 Nino Oddo, durante il suo mandato da deputato regionale a Palazzo dei Normanni, presentò un disegno di legge per istituire l’Ente Parco di Erice. Ma il ddl non andò in porto, arenandosi all’Ars. C’è da dire che la sua proposta non trovò il sostegno del territorio. E soprattutto della classe politica locale. La logica della contrapposizione politica (che non porta da nessuna parte) probabilmente non aiutò quel disegno di legge, che magari, se approvato, avrebbe potuto aprire nuovi scenari di sviluppo per il Monte. Ma terminata la legislatura non se ne parò più. Un’altra occasione persa per il territorio. Con la politica che dovrebbe iniziare ad interrogarsi su cosa fare di questo angolo della Sicilia. Bisogna saper essere anche un po’ visionari per immaginare come migliorare il territorio e le condizioni della comunità che si è chiamati a governare. La Politica, quella con la “P” maiuscola, dovrebbe fare questo di mestiere. Il condizionale è quanto mai d’obbligo. E siccome gli uomini e le donne passano, le idee ed i principi restano, speriamo che quelli che verranno saranno essere un po’ più visionari.

Certo, una proposta per istituire un Ente Parco potrebbe anche arrivare dalla base, magari con un Comitato promotore con in testa gli stessi ericini e quanti hanno davvero a cuore le sorti della montagna di Erice. Comprese le associazioni ambientaliste, culturali, storiche, archeologiche e chi più ha più ne metta. L’unione da la forza. E qui abbiamo davvero bisogno di stare uniti per farci forza. E ripartire con un nuovo cammino che porti ad un progetto per il rilancio di Erice. E l’Ente Parco potrebbe essere un buon inizio. Sotto una unica regia si potrebbe davvero valorizzare il Monte e l’intera galassia ericina  nella sua interezza. Dalle pendici fino alla vetta. Dalla costa fino all’ultimo campanile e torre del centro storico di Erice. Iniziando a difendere i boschi (piuttosto che buttarci spazzatura e vederli bruciare), piantare alberi e sistemare le aree attrezzata. Magari inventandosi servizi ed attività per i visitatori. Innescato un circuito economico in grado di portare lavoro vero. E non solo chiacchiere. Un Parco permetterebbero di aprire nuove prospettive per quel che riguarda la creazione di una vera offerta turistica di qualità, con un brand esclusivo. Basta dire Erice e poi mettere in campo le giuste strategie e sinergie. Ma senza spezzatini e con un solo coordinamento.  Un progetto del genere, se portato avanti nelle giuste sedi, permetterebbe inoltre di potere mettere in campo degli strumenti (l’Unione Europa offre una miriade di possibilità, ma c’è bisogno di persone che “sappiano” leggere e studiarsi i bandi e le misure previste) anche per quel che riguarda la vigilanza ed il controllo della montagna. Per non parlare della possibilità di valorizzare tutti quei “tesori” che fanno di questa montagna un luogo semplicemente unico al mondo. Qui non c’è paragone che regga. Erice è semplicemente Erice. Punto.

Mario Torrente

 

La montagna di Erice vista dal promontorio di Misericordia

 

(foto Mario Torrente)