La Madonnina dello schifazzo

Ogni Madonna ha una storia da raccontare. Questa che vedete in foto si trova nella nostra casa di famiglia che Pietro Torrente, soprannominato “campana”, il bisnonno di mio padre, costruì a Marettimo. Le sue origini ci portano alla seconda metà del 1800, a bordo di uno schifazzo che faceva da spola tra Trapani e l’isola carico di merce. I miei antenati, oltre a pescare, facevano questo. Abilissimi a navigare a vela con il loro schifazzo, la “Nina”, armata con fiocco e vela latina. In seguito, nel 1900 inoltrato, facevano su e giù tra la città e Marettimo, portando tutti i rifornimenti ed i viveri necessari, con il “Torrente Mario”. Da tutti ricordato come “U muture a posta”. Perché nella grande stiva veniva caricata anche la posta, con tutta la corrispondenza da e per l’America. Ed in tutti gli altri angoli del mondo dove sono emigrati marettimari. I Torrente hanno poi continuato a navigare per mari e oceani. In Alaska per andare a caccia di salmoni o comandando super petroliere e chimichiere. Riuscendo sempre a portare carico, nave ed equipaggio in porto. Come fu per la “Nina” tanto tempo fa.
La storia che vi racconto inizia tra le onde del mare in tempesta nel bel mezzo del canale che separa Levanzo a Marettimo. Siamo a metà del 1800 e dalle parti di punta San Simone, tra Basano e Punta Troia, cominciava a prendere forma il primo nucleo abitato della più lontana delle Egadi, dove iniziarono a stabilirsi molti favignanesi. In quel tratto di mare temuto ancora oggi, chiamato “Furitana”, soffiava un fortissimo vento di Greco e Levante. Le onde, autentici muri di acqua alti diversi metri, sballottavano la “Nina” mettendo a dura prova la vela al punto che ad un certo punto si ruppe l’antenna dell’albero. Nonostante la vela fuori uso, Pietro Campana, a bordo con il figlio, ovvero il padre di mio nonno, detto (anche qui vado per ngiuria) “Petro u Longo”, riuscì ad arrivare a Marettimo. Con i marosi che andavano dritto sugli scogli. C’era tanto di quel maltempo che tutte le donne del paese erano allo scalo vecchio, davanti il punto dove oggi c’è’ l’altare votivo di Santu Patre. La madre del mio trisavolo, disperata, pregava San Giuseppe per fargli la grazia e salvare marito e figlio. Nonostante la tempesta, che sembrava volersi prendere quello schifazzo con le sue due vite a bordo, la “Nina” riuscì ad arrivare nell’isola. A quel punto il rischio era però di finire sugli scogli. O sulle secche. Ma Pietro Campana, governando il timone a barra tra non poche difficoltà, posizionò il suo schifazzo con la prua verso “u schuggiazzu” ed il lato di dritta sulla “chianca ru rentice”. Ad un certo punto un colpo d’onda lo trascinò fino alla spiaggia, quasi fino a dove oggi c’è l’altare di Santu Patre, il protettore di chi va per mare. La provvidenziale mareggiata, meno impetuosa ed increspata, quasi a volere concedere una tregua in quel momento di furia del mare, fece arenare dolcemente la Nina sull’arenile. Senza fare danni e nessuna falla sulla chiglia. Come ovvio si gridò al miracolo, ma ancora la vera sorpresa doveva arrivare. Intanto, però, carico, barca, padre e figlio erano salvi. Ma quando venne calata l’antenna della vela, Pietro Campana si accorse che la “varea”, la punta estrema che si era rotta durante la navigazione, aveva la forma di una Madonnina. Praticamente il legno, spezzandosi, aveva fatto venire fuori l’immagine della Vergine in preghiera.
A questo punto, per la grazia ricevuta, Pietro “u Longo”, quindi il mio bisnonno, portò quel pezzo di legno da un artigiano a Trapani, probabilmente della via Corallai, che lo intagliò meglio, definendone i lineamenti per poi dipingerlo. Ne venne fuori la Madonnina che trovò posto nella casa che il nonno di mio nonno fece costruire “a censo” a Marettimo, visto che in quel periodo le isole appartenevano alla famiglia Parodi di Genova. Ancora oggi quella è la nostra casa di famiglia, che mio nonno ha lasciato a mio padre. E quelle mura, con la loro Madonnina, raccontano la storia della nostra famiglia. Fatta di gente di mare, pesci e navi. E anche di Santi e preghiere. Qualche anno fa mio padre, che si chiama Pietro Torrente, proprio come i due Pietro che erano sulla “Nina” vincendo la sfida con la tempesta di Grecale, ha fatto restaurare la Madonnina dello schifazzo e la nicchia fatta fare quando venne costruita la casa. Circa un secolo addietro. Questa storia gli venne tramandata da mio nonno. Poi l’ha raccontata a me. E adesso io, che sono uscito “leggermente” fuori razza rispetto ad una famiglia dove sono quasi tutti marittimi, l’ho scritta per condividerla con tutti voi. Così almeno resterà memoria della “Nina”, di Pietro “Campana” e di Petro “u Longo”. Della loro abilità nell’andare per mare trasmessa poi a figli e nipoti. E del legame con la Madonnina, venuta fuori dal legno di uno schifazzo, che da più di un secolo veglia sulla nostra famiglia.

Mario Torrente