Quando il sole “entra” a Porta Spada

Porta Trapani

Nei giorni del solstizio d’estate il sole è perfettamente allineato con Porta Spada. Siamo lungo le mura elimo-puniche di Erice, la ultra-millenaria cinta muraria che ci porta indietro nel tempo tra il sesto e settimo secolo avanti Cristo. E che secondo la tradizione sarebbe stata costruita dai Ciclopi, in grado, grazie alla loro mole e forza, a sollevare i massi che compongono le imponenti mura. I grandi blocchi megalitici si possono vedere ancora oggi nella parte che da porta Carmine scende fino a porta Spada. Non a caso vengono chiamate anche mura ciclopiche. L’altro accesso lungo la cinta muraria, il più conosciuto visto che si trova all’ingresso del centro storico di Erice, è invece Porta Trapani. Questa porta, dove si trova una piccola edicola con l’immagine di San Cristoforo, patrono dei viaggiatori, è invece rivolta verso il centro abitato della città falcata: si trova al centro di due bastioni e da qui si entra nel borgo medievale, risalendo la strada selciata che permette di arrivare a piazza Umberto I. C’è poi una quarta porta, tornata alla luce di recente: si tratta di Porta Castellammare, di cui oggi restano pochi resti, che guarda invece verso l’Agroericino, ovvero sul golfo di Bonagia, monte Cofano e la montagna di Sparagio, abbracciando un territorio che arriva fino a San Vito lo Capo e  Buseto Palizzolo, passando per Custonaci e Valderice. Un tempo questo era il territorio dell’antico Comune di  Monte San Giuliano, il secondo più grande della Sicilia, per estensione, dopo Monreale.

Porta Carmine

Originariamente le porte erano però cinque.  La quinta porta, che oggi non c’è più, venne demolita nel 1811 durante i lavori per la realizzazione della strada che collega il centro abitato ericino alla città di Trapani. Era la porta dei Cappuccini. Conduceva al convento dei frati Cappuccini, dove ancora oggi c’è, oltre la chiesa, anche il cimitero. Chiamato, per l’appunto, dei Cappuccini. Di questa porta non resta più nulla, a differenza di porta Castellammare, sul versante opposto della montagna, da dove parte il sentiero che scende a Bonagia, passando dalle antiche chiese rupestri e dall’area demaniale di San Matteo. Lungo questo percorso si possono ancora vedere i resti della porta, che si trovano in uno degli itinerari più belli per gli amanti del trekking, con panorami mozzafiato su Monte Cofano. Uno dei più bei promontori della Sicilia occidentale. In questo versante della montagna di Erice, che guarda verso Nord-Est, e quindi esposto ai gelidi venti di Tramontana e Grecale, non ci sono mura, a differenza del lato di Nord-Ovest. Dove ancora si possono invece ammirare le antiche fortificazioni. Che custodiscono millenni di storia. E tanti racconti e leggende. Un posto meraviglioso, che regala delle passeggiate da incanto immersi nei silenzi dell’antico bosco. Dove al tramonto filtrano gli ultimi raggi del sole, che in base al periodo dell’anno al crepuscolo si vanno spostando tra porta Trapani e porta Spada.

A fine giugno, ad esempio, il sole calando “entra” dentro porta Spada. Regalando un effetto davvero molto suggestivo. Il 21 giugno, il giorno del solstizio d’estate, il sole è infatti perfettamente allineato con l’arco della porta. E la poca vegetazione presente permette di cogliere tutta la bellezza del tramonto da questo angolo della vetta ericina. Caratterizzato da un profondo senso di qiuete. E distacco dal resto del centro storico. Basta posizionarsi dentro le mura, poco dopo l’ingresso della chiesa di Sant’Orsola, all’altezza del punto medio della porta, per notare come l’astro sia proprio nel mezzo del varco. È un vero e proprio spettacolo della natura, avvolto nella magica atmosfera ericina. Dove tutto odora di bellezza e suggestioni. Nei giorni degli equinozi di primavera e d’autunno, rispettivamente il 21 marzo ed il 21 settembre, il sole tramontando, sempre nel suo “viaggio” apparente lungo la linea dell’orizzonte, sarà invece proprio davanti porta Carmine, l’accesso che si trova nel mezzo delle porte Spada e Trapani. Separate tra di loro da circa 900 metri di cinta muraria. Tre portielle e sedici torrioni (in origine erano 25). Intramezzate dalle lettere puniche “ain“, “beth” e “phe“. Che secondo la tradizione avrebbero un messaggio simbolico: occhi per vedere il nemico, bocca per mangiarlo e luogo sicuro per gli abitanti. Ma si potrebbe trattare anche di semplici indicazioni su dove posizionare i blocchi in fase di costruzioni. Comunicazioni di cantiere insomma. Ma resta il mistero. E sicuramente una storia da raccontare ai visitatori mostrando loro le scritte che risalgono al VI secolo avanti Cristo. Ovvero al periodo Cartaginese.

Tramonto da Erice

Ma torniamo agli allineamenti in base ai periodi dell’anno. A dicembre, per il solstizio d’inverno, il sole sarà invece dalla parti di Porta Trapani, quindi più a Sud. Illuminando con i colori del crepuscolo il campanile della Matrice. E le grandi antenne che, ahinoi, fanno da coreografia al centro abitato di Erice. Qui siamo nella parte che guarda verso la falce della città di Trapani ed il suo hinterland. Proiettandosi a Ponente verso le isole Egadi. Le porte sono dunque orientate con le giornate che segnano il passaggio da una stagione all’altra. Momenti che anticamente scandivano la vita dei nostri antenati,  a partire dalla coltivazione dei campi. Allora tutto era stretta mente correlato all’osservazione dei cielo per comprendere il periodo di riferimento. Se era il momento della semina piuttosto che quello del raccolto. E via così con tutto ciò che, millenni addietro, era legato alle attività, ed alla sopravvivenza, delle genti che viveno nella cima della montagna che fu della dea dell’amore e della bellezza. Che nei millenni ha avuto più nome. Dalla fenicia Astarte alla punica Astarte per arrivare alla Venere dei Romani. Ancora prima, probabilmente, alla Dea Madre Terra. Che forse è tra le immagini raffigurate nei pittogrammi disegnati cinque mila anni fa nelle pareti della grotta di Polifemo. Alle pendici del Monte, poco sopra Bonagia, dove per il solstizio d’estate si verifica un particolare allineamento con il sole al tramonto.

L’azimuth da Porta Carmine

Come avviene, nello stesso giorno, a Porta Spada. Bussola alla mano, si può facilmente verificare come questo accesso sia orientato con l’azimuth 301. Quasi un chilometro più su, Porta Trapani è rivolta all’azimuth 240. Ed infatti nei giorni a cavallo del 21 dicembre il sole tramonta proprio davanti a questo varco ed alle antenne piantate l’antica porta. Andando a Porta Carmine la bussola punta invece l’azimuth 270. Quindi preciso ad Ovest. Ed il sole durante gli equinozi tramonta esattamente ad Ovest. Solo che a settembre, per l’equinozio d’autunno, l’astro si va spostando verso Sud Ovest per raggiungere l’azimuth 240 per il solstizio d’inverno. Tornerà davanti Porta Carmine a marzo per salutare ufficialmente, il 21, l’ingresso della primavera. Da qui il sole, tramonto dopo tramonto, proseguirà verso Nord Ovest. Il 21 giugno sarà di nuovo davanti Porta Spada. Orientata verso l’azimuth 301.

Porta Spada

Le tre porte delle antiche mura guardano dunque verso i punti dei tramonti più importanti dell’anno. Ma tra vegetazione, antenne e possibile nebbia durante i mesi invernali ed autunnali, le maggiori probabilità di vedere il sole “entrare” tra le possenti mura ericine sono a Porta Spada, chiamata così per l’eccidio, durante la guerra del Vespro del 1282, degli Angioini. I soldati francesi che occupavano Erice furono passati a “fil di spada”. Da qui il nome di Porta Spada. A ricordo proprio di quelle esecuzioni, dove la tradizione popolare ha tramandato una storiella. Si narra infatti che per scovare gli agioini, che si erano nascosti tra la popolazione, gli ericini escogitarono uno stratagemma. A porta Spada obbligavamo a tutti di dire “cicira“, termine siciliano per dire ceci. Di difficile pronuncia per il francese. La doppia “ci” permise così di scoprire i soldati angioini, che non furono particolarmente amati ad Erice. tutt’altro. La popolazione nutriva una profonda avversione nei loro riguardi. E durante la rivolta del Vespro furono uccisi senza tanti se e troppi ma. A “fil di spada” per l’appunto. Segnando per sempre la porta più a Nord di Monte San Giuliano.

Ma anche se il suo nome ci ricorda un fatto di sangue, questo angolo di Erice è sicuramente tra i più belli e suggestivi della vetta. Da qui si arriva scendendo dalla via dell’Addolorata, la strada che da porta Carmine costeggia le mura elimo-puniche per arrivare nelle chiese di Sant’Orsola e Sant’Antonio, per arrivare poi alla via Apollonis ed al Quartiere Spagnolo.  Ma si può arrivare a porta Spada anche percorrendo il sentiero che dalla matrice permette di entrare nel bosco antico. Tra la millenaria cinta muraria, con i suoi torrioni e le portielle, ed i silenzi del bosco. Con i sui secolari alberi ed il cinguettio degli uccelli che accompagna il cammino degli escursionisti in questo autentico angolo di paradiso tra natura e storia. Dalla scalinata che porta al piazzale di porta Spada, si prosegue scendendo dal sentiero del piede del Diavolo. Da qui si può raggiungere un fantastico punto panoramico, immerso nei silenzi del bosco, che si affaccia sul porto di Bonagia.

Le mura elimo-puniche nel sentiero del piede del diavolo

L’itinerario continua fino al Quartiere Spagnolo, altro gioiello del borgo medievale che fa parte a pieno titolo del percorso dove si condensano tantissime leggende ericine. Come quelle del piede del Diavolo e di Berretta Rossa. Ma andando ancora più su, lungo la via Apollonis, si passa dai ruderi di una antica cappella, un tempo sinagoga, dove si narra di tesori nascosti e di “vasche” dove faceva il bagno il dio Apollo. Si tratta della fonte battesimale dell’antica sinagoga, oggi indicata dai muntisi come la “piscina d’Apollo”. Racconti dove la tradizione popolare si intreccia con il mito. Portandoci dritti dritti al Castello normanno. Qui un tempo c’era il tempio di Venere. Del resto questa era la montagna della dea dell’amore e della bellezza. Che ancora oggi continua ad albergare da queste parti. Qui c’è sempre stata un’immagine femminile a protezione della montagna, del suo agro e del mare che guarda da un lato verso l’Africa. Dall’altro verso l’Europa. Anticamente era chiamata Grande Dea Madre. Poi in altri modi, da Astarte a Tanit per arrivare al  Venere. Poi ci fu l’avvento del cristianesimo. Ma qui i culti pagani furono duri da estirpare. Poi, attorno al quindicesimo secolo, si dice che dalle parti di Cala Buguto, nel mare di monte Cofano, sia arrivata uno stupendo quadro di una Madonna con il bambinello Gesù in braccio. Si narra che fu portata in queste terre da una nave scampata ad una tempesta. L’equipaggio, in segno di riconoscenza per essere stato salvato da quelle onde così minacciose, decise di lasciare qui l’immagine della Vergine. Che entrò  subito nel cuore della popolazione. Venne chiamata Madonna di Custonaci. Un’icona religiosa, ormai radicata bel dna di una intera comunità, che ancora oggi racconta una storia di fede e devozione lunga ben cinque secoli. Fatta d’amore e di quella grande bellezza qui da sempre identificata con le immagini delle donne che da millenni vegliano su questa montagna incantata.

Mario Torrente