Arrivano i pirati!!!

Se ne sta lì da cinque secoli. Da quella che un tempo era chiamata la punta di Sant’Angelo, a quanto pare per la chiesetta fatta costruire dal conte Ruggero dopo avere sconfitto gli arabi. Qui a metà del 1500 venne costruita la Torre di Bonagia. Le sue possenti mura hanno visto passare mezzo millennio di storia. Ed ancora oggi l’imponente struttura domina il golfo compreso tra le pendici della montagna di Erice e pizzo Cofano. Uno dei litorali più belli della costa trapanese, che regala meravigliosi scenari. Tra tramonti sul mare e albe dai monti dell’entroterra siciliano. Spesso con una esplosione di colori e riflessi da incanto. Ma qui, oltre alla bellezza, c’è anche tanta storia. Che in alcuni casi ci porta indietro di cinque mila anni, come nel caso della grotta di Polifemo ed i suoi pittogramma arrivati a noi dalla Preistoria. Da qui partono i sentieri che arrivano dritto dritto alle mura elimo puniche di Erice. A Bonagia, più di due mila anni addietro, era attesa la flotta Cartaginese che venne bloccata dall’esercito Romano nella mitica battaglia delle Egadi del 10 marzo del 241 a.C. Proprio dal porticciolo di Bonagia sarebbe dovuto sbarcare l’esercito atteso dal generale Amilcare, asserragliato ad Erice in attesa degli aiuti. Che non arrivarono mai. Decretando la prima  vittoria di Roma su Cartagine ed andando a sancire i nuovi equilibri geo-politici nel mar Mediterraneo. All’insegna del dominio dei Romani e dell’indietreggiamento dei Punici. Ma andando indietro nei secoli, in questa zona si parla di sontuose ville Romane e di antichissime chiese dedicate al culto dei Santi. Una striscia di terra che  di  cose da raccontare ne ha davvero parecchie. Tutto sempre all’ombra della montagna che fu della dea dell’amore e da sempre proiettata verso il mare.

Il simbolo di questo patrimonio di antichità e bellezza resta l’antica Torre, un’autentica capsula del tempo arrivata ai giorni nostri per raccontarci storie antichissime. Che ci portano indietro di molti secoli, quando le coste siciliane erano minacciate dagli attacchi dei pirati saraceni. Ed i segnali di fumo che rimbalzavano da una parte all’altra del litorale servivano proprio a lanciare l’allarme in caso di pericolo.  Ancora oggi nella cuspide della Sicilia occidentale si possono ammirare diverse di queste torri, il sistema di allarme di un tempo per difendere le coste dalle incursioni dei corsari che arrivavano dal Nord Africa. Per la verità non erano i soli a praticare la pirateria nelle due sponde del Mediterraneo. Anche dalla Sicilia partivano molte navi per andare a saccheggiare e fare schiavi nelle coste tunisine, così come in quelle del Marocco e della Libia. La pirateria era pratica sia di qua che di là dal mare. Si faceva un po’ per uno, insomma. A volte scambiandosi gli schiavi. Per poi tornare all’arrembaggio alla prima occasione utile.

La Torre di Bonagia faceva dunque parte del sistema di avvistamento delle navi saracene: comunicava, tramite segnali di fumo e fuochi, con le altre postazioni, a partire da Est, con la Torre di San Giovanni, alle pendici di Monte Cofano. Questa a sua volta con quella dell’Isulidda e successivamente con l’ex Torrazza, sul piano di San Vito lo Capo. Lo stesso avveniva sul versante di Trapani, passando per Torre di Ligny, la Torre di Nubia, Marausa, San Teodoro per poi continuare lungo la costa della Sud Sicilia occidentale.

Il segnale di allarme consisteva nell’accensione dei fuochi. Il loro numero serviva ad indicare quante erano le navi all’orizzonte. Da uno a quattro imbarcazioni si accendeva un fuoco, due fino ad otto, tre se il loro numero era superiore. Se poi c’è un agguato, partiva un colpo di cannone. In caso di sbarco notturno si faceva ardere un fuoco continuo e contemporaneamente partivano quattro colpi di cannone. Si faceva anche suonare la brogna, una grossa conchiglia usata come tromba. Allora era questo il sistema antifurto del territorio, visto che i pirati venivano a depredare e portare via tutto quello che trovavano. Uomini e donne compresi, da potere poi rivendere come schiavi. Lasciando alle loro spalle morte e distruzione. Ed anche il borgo di Bonagia, cinque secoli fa, fu teatro di una terribile incursione. Pagando un altissimo prezzo in termini di morti e persone ridotte in schiavitù.

La torre venne infatti distrutta nel 1624 durante un attacco dei pirati turchi. Dalle 13 galee arrivate davanti Bonagia partirono ben 200 colpi di cannone. Ci furono decine di morti e la torre venne ridotta in ruderi. Quel giorno, era l’11 giugno, vennero deportati in Barberia come schiavi decine di bonagioti. Dopo quel terribile assedio la torre venne successivamente ricostruita per essere ultimata, così come è arrivata ai giorni nostri, nel 1626, come riporta la data che si legge chiaramente nell’architrave sopra la porta principale. Le mura raccontano dunque storie di pirati, oltre che quelle della tonnara che fino a pochi anni addietro veniva calata nelle acque antistanti il piccolo porticciolo, che si trova in una insenatura naturale alle pendici di monte Erice.

Attorno alla Torre c’era il borgo marinaro, oggi diventata una bella e accogliente struttura ricettiva, dove vivevano i tonnaroti, oltre che gli stabilimenti per la lavorazione del pescato, i magazzini ed il marfaraggio per le barche. Le reti, durante la pesca, venivano tenute sott’occhio proprio dalla terrazza della Torre, da dove si può ammirare un panorama letteralmente mozzafiato sul golfo di Bonagia, abbracciando una visuale che va da Punta Ferro, la zona delle curve del nono chilometro, fino a monte Cofano. Una autentica veranda sul mare che si può visitare assieme al museo della Tonnara, che si trova proprio all’interno della Torre di Bonagia. Al suo interno è  allestita una esposizione dedicata al mondo delle Tonnare, con gli utensili e attrezzi di lavoro dei tonnaroti, oltre che le foto realizzate negli anni Ottanta da Ninni Ravazza e Fabio Marino, quando con la loro macchina fotografica andavano a documentare le fasi della pesca del tonno che culminavano nella mattanza.

Il museo della Torre di Bonagia è gestito dall’associazione Salviamo le Tonnare, guidata dall’imprenditore Nino Castiglione, assieme alla proloco di Valderice: è aperto tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 20. Nei due piani della Torre si possono anche ammirare due rappresentazioni in miniatura della Tonnara, realizzati a suo tempo dai rais Renda e Solina, che riproducono fedelmente il sistema delle reti. Molto suggestive, poi, le strette scalinate che portano da un piano all’altro. Tra quelle mura sembra ancora echeggiare il rimbombare dei cannoni dalle navi dei pirati. Urla e grida. Ma anche i  canti e le preghiere dei pescatori. Con le loro cialome e gli ordini del rais per andare a calare le reti. Chissà quanti odori hanno pervaso poi i corridoi della Torre. Come quello dei tonni appena pescati. Per poi andare in lavorazione ed in cottura dentro i bollitori. Chissà poi come doveva essere il brusio che proveniva dagli stabilimenti. E la vita del piccolo borgo marinaro che scorreva con i suoi ritmi. Qualcosa d quel mondo che non c’è più è rimasta impressa in queste mura arrivate intatte ai giorni nostri. Quasi fosse la pellicola di una macchina fotografica. Ma per vedere le immagini non serve nessuna camera oscura. Basta solo fermarsi un attimo e osservare tutto con gli occhi del cuore. Facendosi accompagnare dai silenzi della Torre. E riuscendo così ad aprire lo scrigno di tesori custoditi al suo interno. Con le sue tante storie che raccontano di avventure di pirati e tonnaroti.

Mario Torrente

 

(foto Mario Torrente)