Sulle tracce degli elimi

L’escursione a Segesta riporta alla mente la citazione di Cesare Brandi in “Sicilia mia”, un piccolo volume pubblicato da Sellerio, un vero e proprio atto d’amore per la “sua” Sicilia, per i suoi tesori artistici e paesaggistici, che tutti dovremmo conoscere. Cesare Brandi (Siena, 08/04/1906 – Vignano, 19/01/1988) è stato uno storico dell’arte, critico d’arte e saggista italiano, specialista nella teoria del restauro ed a proposito di Segesta scrive:

“Dove, come a Segesta il tempio è rimasto intatto, la congruenza dell’architettura al sito in cui sorge è ancora più sorprendente della forma stessa così misurata del monumento: sembra nel suo astuccio, e il luogo, rimasto per fortuna solitario e senza nuovi edifici, colpisce proprio perché mette di fronte alla storia come si fosse tornati indietro e nel teatro superiore, con uno scenario naturale impareggiabile, vi fosse una folla di élimi ad assistere allo spettacolo. Si sale allora al teatro e di trovarlo vuoto, stupenda conchiglia, è invece fonte di piacere perché in realtà ogni presenza umana è straniera dove l’antico risorge da terra”.

Lo sbocciare delle forme classiche a Segesta empie di meraviglia il nostro camminare nella fortezza “naturale” di Monte Barbaro, un massiccio calcareo di 423 m, dove sorgeva l’antica Segesta, un punto strategico protetto in modo naturale, da cui si dominava – e si domina – tutto il territorio circostante e le antiche vie di collegamento.

Partendo dal parcheggio del parco (oggi chiuso per lavori), abbiamo raggiunto il Santuario di c.da Mango (VI-V sec. a.C.): un luogo sacro fuori le mura ancora oggetto di studi e ricerche, un tempo meta di pellegrinaggi e oggi fuori dai flussi turistici, dove si conservano le tracce del témenos (recinto sacro) di 47,80 x 83,40 m, del quale si possono apprezzare i muri monumentali. All’interno dell’area insistono i resti di edifici sacri rinvenuti nel corso di recenti scavi: rocchi di colonna, triglifi, capitelli dorici. Risalendo il versante sud-ovest ripercorriamo l’antico sentiero ricavato nella roccia, che dall’abitato più in alto portava al santuario. Questo breve tratto si apre lentamente sul vallone della Fusa e su Monte Pispisa, fino a meravigliarci con la vista del Tempio (fine V sec. a.C.), un tempio anonimo, incorniciato da un mirabile paesaggio. Il sentiero ci conduce sul tornante della strada asfaltata, sotto il quale sono ancora visibili i resti della cinta muraria, che porta alla sommità del Monte Barbaro dove si trovano gli insediamenti di epoca medievale, la terrazza superiore dell’Agorà, il Teatro (metà II sec. a.C.), con la sua apertura verso orizzonti lontani e fusione tra costruzione e linee naturali.

Lasciamo il teatro, percorrendo il sentiero che fiancheggia i resti della cinta muraria, in direzione di Porta di Valle, per una pausa pranzo e la visita finale al Tempio, animato da una strana potenza.

“E’ impossibile definire l’origine di questa forza eccezionale: lo sfondo delle montagne? Il colore dei materiali? L’impressione di incompiutezza che lascia una stereotomia tuttavia rigorosa? L’assenza di qualsiasi traccia di cella all’interno di questo vuoto che pure è meravigliosamente definito dal colonnato, completo della sua trabeazione e dei suoi frontoni? Il puro abbozzo geometrico, senza decorazione e senza orpelli, in cui si iscrive questa creazione architettonica completamente epidermica? Il puro gioco di linee e di volumi semplici che si sviluppano nello spazio e nella luce senza fratture e interruzioni?” 

Condividiamo queste riflessioni di Jean Charbonneaux in “La Grecia classica” lasciando al viaggiatore l’emozione di sentire questo “spirito del luogo”, ovvero l’essenza culturale del sito che si è formata nel tempo attraverso la stratificazione del suo patrimonio tangibile e intangibile, un’aura che attira il visitatore nel luogo e cresce con la trasmissione di conoscenza, storie e ricordi.

Angela Savalli

 

 

 (foto di Angela Savalli)