La magia della raccolta del sale

A Trapani l’ultimo scorcio dell’estate si tinge del rosa delle vasche e del bianco del sale. Da queste parti lo chiamano l’oro bianco. Da sempre fonte di vita. Il fulcro su cui si regge un equilibrio antichissimo tra uomo e natura. Fatto di duro lavoro e di un habitat perfetto connubio tra mare e terraferma, che al tramonto, al calar del sole dietro le isole Egadi, regala delle sfumature letteralmente mozzafiato. Con colori che spaziano dall’arancione al blu passando per il glicine e mille sfumature di rosso e giallo. Un autentico incanto da vedere assolutamente, così come le albe, con il sole che inizia ad illuminare la grande piana trapanese, con i suoi caratteristici mulini e la città a forma di falce, sorgendo dai monti dell’entroterra siciliano, tra i silenzi di questa oasi ambientale ed il sottofondo dei tanti uccelli che vivono tra questi canali. Che sia un alba o un tramonto, insomma, lo spettacolo è più che garantito. In un trionfo di colori e natura che qui avvolge ed entra dritto nel cuore.

Siamo all’interno della Riserva orientata delle Saline di Trapani e Paceco. Un’oasi ambientale, istituita nel 1995 e gestita dal Wwf Italia, che si estende per oltre mille ettari, settecento dei quali occupati dalle saline. Un luogo meraviglioso, carico di fascino, dove natura ed attività umana si incontrano mantenendo, da sempre, un perfetto equilibrio. Per di più antichissimo, visto che le saline trapanesi risalgono addirittura ai fenici. La loro presenza è già documentata durante il periodo della dominazione normanna in Sicilia ma fu dal 1500, con gli spagnoli, che la produzione del sale cominciò a prendere sempre più piede, dando centralità al porto di Trapani e sviluppo economico alla città falcata. Il periodo di maggiore espansione fu dalla seconda metà del 1700, quando furono costruiti i primi mulini, macchine che diedero un taglio più industriale a questa attività, visto che vennero usati sia per pompare l’acqua del mare dentro le vasche, sia per macinare il sale all’interno di veri e propri stabilimenti.

Il cuore di questo “trionfo” della biodiversità si trova a Nubia, lungo il litorale compreso tra Trapani e Marausa. Passeggiare tra queste vasche e canali regala delle esperienze sensoriali incomparabili, in un contesto impareggiabile per la sua bellezza e la ricchezza dell’avifauna. La laguna è infatti il regno di tantissime specie di uccelli, a partire dai fenicotteri rosa, che soprattutto tra settembre e ottobre affollano i bacini delle saline. È uno spettacolo vederli dentro le vasche o volare a bassa quota per spostarsi da un punto all’altro: si nutrono prevalentemente di un piccolo crostaceo, l’artemia salina. Il  colore rosa delle piume degli adulti è dovuto ai pigmenti carotenoidi contenuti nelle microalghe di cui si alimenta questo piccolo gamberetto, l’artemia salina per l’appunto. Da qui il caratteristico colore di questi uccelli meravigliosi, caratterizzata da zampe e collo lungo e dal becco corto e ricurvo verso il basso.

Il fenicottero rosa è tra le 208 specie finora censite nella Riserva delle saline di Trapani e Paceco, che si trova proprio lungo le rotte migratorie di moltissimi uccelli che in autunno ed in primavera si spostano tra l’Africa e l’Europa. Questa laguna è in pratica un luogo di sosta  prima o dopo la traversate del Canale di Sicilia: in primavera per le specie che dall’Africa volano verso l’Europa per riprodursi, in autunno, nel viaggio al contrario dall’Europa, per raggiungere luoghi con temperature più miti dove trascorrere l’inverno. E le saline trapanesi offrono a questi uccelli la possibilità di potersi riposare, ricaricando le riserve consumate nella prima parte del volo migratorio. Ed in questa grande laguna trovano una gran varietà di nutrimento, a partire dai piccoli crostacei, i molluschi, gli insetti e diversi organismi vegetali come le alghe che, attraverso la catena alimentare, colorano di rosa le piume dei fenicotteri. Molti uccelli trascorrono poi l’inverno nelle saline trapanesi grazie alle temperature non particolarmente rigide. Da marzo in poi avranno la compagnia di altre specie durante i loro viaggi migratori.

Le saline rappresentano insomma un habitat unico dove coesiste un intreccio di ecosistemi, comunque legati all’attività dell’uomo. Il lavoro dei salinai, con la costante manutenzione e pulizia di vasche e canali, permette a quest’oasi di “vivere” in un perfetto equilibrio tra uomo e natura. Le saline rappresentano una vera e propria “industria ecologica”, che non danneggia l’ecosistema, ma anzi lo favorisce. Forse un caso unico. Un modello virtuoso, dove le esigenze produttive legate alla raccolta del sale finiscono col creare le condizioni ideali per la sopravvivenza di questo autentico paradiso, con i suoi antichi mulini e le vasche dove viene convogliata l’acqua del mare per estrarre il prezioso “oro” bianco. Uno dei simboli di Trapani e del sue legame con il mare. Da sempre fonte di sostentamento e ricchezza, dove la produzione è strettamente collegata all’energia del sole ed quella del vento che soffia praticamente sempre su questa grande piana nell’estrema punta occidentale della Sicilia. Il tutto “condito” dall’ingegno umano e dalla caparbietà dei salinai, i “custodi” di questa oasi della biodiversità, che con il loro lavoro riescono a tutelare l’ambiente vincendo le tante sfide per riuscire ad ottenere le preziose “gemme” salate. Il metodo di coltivazione, del resto, è una vera e propria “scienza”, tramandata da generazione in generazione e che ancora oggi trova la sua sintesi nella sapienza dei “curatoli”, coloro che sanno come indirizzare l’acqua del mare da vasca in vasca fino ad arrivare a quelle salanti, dove avviene la raccolta: il “viaggio” inizia dai canali di ingresso da dove entra l’acqua di mare, le “bocche di presa”. Da qui si passa alle prime grandi vasche, dette “fridde”, per poi passare alle “caure”,e quindi alla vasche salanti, dette anche “caseddre” dove avviene la cristallizzazione del sale e la sua raccolta.

Il ciclo di produzione del sale marino integrale trapanese è un processo lungo, scandito dalle varie stagioni dell’anno, tra riempimento e svuotamento delle vasche che culmina a settembre con la campagna di raccolta, quando gli argini delle saline prendono forma le caratteristiche montagnette bianche. Fasi scandite dal lavoro dei salinai, tra cui c’è la pulitura delle vasche salanti, intervenendo sul materiale calcareo che si forma al suo interno, chiamato “mamma caura“. Si tratta di una sorta di “lievito” indispensabile per la formazione del sale. La “mamma caura” è ricchissima di enzimi, rende la base delle vasche impermeabili e nell’acqua diventa nera, trattenendo il calore e accellerando quindi il processo di cristallizzazione. Anche perché trattiene le impurità attorno al quale si forma il sale. Un po’ come avviene per le perle. Tra l’altro, spesso a bordo delle saline si vedono delle “montagnette” di colore grigio che altro non sono che il sale mischiato con la “mamma caura”.

Insomma, attorno alle saline trapanesi c’è davvero tutto un mondo da scoprire. Ed uno dei periodi più belli per visitare la Riserva è sicuramente tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, con il bianco del sale accumulato delle montagnette riflette sul blu delle vasche più grandi (dove si allevano molti pesci, come spigole, orate, anguille e muletti) assieme al rosa di quelle salanti. Un autentico spettacolo, che si carica ancora più di magia al tramonto, con le sfumature che del sole che va calando che regalano delle tonalità sempre meravigliosamente diverse. Giocando con lo sfondo di monte Erice e le nuvole che spesso ne nascondono la cima, il cosiddetto “cappello”. Che in base al tempo può anche tingersi di glicine.

Un paesaggio dove i protagonisti sono anche gli antichi mulini, con le loro grandi pale e la tipica forma a cono. I riflessi sull’acqua. Gli uccelli che ormai ne hanno fatto la loro casa. Un tempo queste macchine, comparse nel Trapanese attorno al 1700, periodo di massima espansione dell’industria delle saline, servivano a vincere pompare l’acqua delle saline, vincendo la differenza di altezza tra una vasca e l’altra, sfruttando l’energia eolica per fare girare, attraverso un sistema di ingranaggi alimentato dalle grandi pale trapezoidali che “catturavano” il vento, la vite di Archimede. La “spira”, così chiamata in gergo, serviva proprio a fare salire l’acqua dalle vasche “fridde” alle “caure” e via via fino a quelle salanti. Altri mulini venivano invece usati per la macina del sale facendo girare le ruote di pietra che servivano a ridurre in polvere il sale marino. Autentici capolavori di ingegneria ed ingegno: i più antichi sono i mulini a stella, che venivano orientati manualmente in base alla direzione del vento. Successivamente fece la sua comparsa anche il mulino americano, con le pale in ferro più piccole ma in grado seguire autonomamente  il vento grazie ad un timone.

Gli ingranaggi al loro interno non girano più da decenni. E pezzo dopo pezzo questi autentici reperti di archeologia industriale, simbolo di Trapani e del suo hinterland, rischiano di cadere giù. Molti mulini sono ridotti in ruderi. Altri lo diventeranno presto, considerato le condizioni di abbandono in cui versano. Un tempo se ne contavano circa un centinaio. Adesso ne sono rimasti in piedi pochissimi e molti hanno bisogno di urgenti lavori di ristrutturazione e manutenzione. Il loro futuro appare quanto mai incerto. Ma questa è un’altra storia che racconteremo nel prossimo viaggio alla scoperta degli antichi mulini trapanesi. Monumenti che da anni gridano. E che, in un modo e nell’altro, vanno salvati. Ne va dell’intera identità del territorio trapanese.

Mario Torrente

 

Nel video l’alba dalle saline

(Testo, foto e video di Mario Torrente)