Valle del Belice – Un salto nella memoria

Sono nato nel 1972, appena 4 anni dopo quella tragica notte tra il 14 ed il 15 gennaio 1968 alle ore 03,00 della notte, dove la terra, già palcoscenico di precedenti scosse di media entità, ha registrato una fortissima scossa, scegliendo il territorio di Gibellina come epicentro, una forza sismica di magnitudo superiore a 6,2 della scala richter, che devastò i paesi della Valle del Belice e seminò un grande numero di morti e sfollati.
Gibellina, Salaparuta e Montevago furono rase al suolo, altri paesi come Santa Margherita di Belice, Poggioreale, Santa Ninfa, Partanna, subirono danni a tal punto da ricostruire interamente il paese, altri comuni furono colpiti e indeboliti seriamente da questo terremoto (guarda il video) e mostrano ancora oggi i segni di quei giorni maledetti.

Ho deciso di fare un salto in quelle zone per vedere coi miei occhi, quei segni incancellabili e scolpiti sulle pietre, così mi sono messo in viaggio.
La prima tappa è stata la vecchia Gibellina, o meglio… quello che è rimasto, perché in quel luogo, ora vi è una colata di cemento e calce, una grande opera (così la descrivono i giornali) di Alberto Burri, “il cretto”… realizzato nel 1973. Laggiù, la mano dell’uomo o per meglio dire, delle istituzioni… sembra non esserci proprio:
Strade vecchie e dissestate, piene di fango e detriti che la recente pioggia ha seminato, segnaletica stradale marcia, incuria e degrado hanno preso il sopravvento. A poche centinaia di metri dal Cretto, mi appare una croce infissa su una lapide in pietra, con su scritto: “In memoria delle vittime del terremoto del 15 gennaio 1968”, alle spalle il luogo dove oggi riposano in eterno quelle persone, tra questi… molti anziani, donne e bambini, in quanto molti uomini erano emigrati al nord in cerca di lavoro.

Poche centinaia di metri più su, intravedo una strada sterrata, che mi da la sensazione che mi avrebbe condotto in un luogo, dove godere di una panoramica migliore sullo stesso cretto, quindi la percorro … e in effetti, mi porta ad un parcheggio dove lascio la mia auto.

Sotto i miei occhi … una gigantesca macchia bianca fatta di muretti alti non più di un metro e vicoli strettissimi, mi chiude la bocca dello stomaco, uno scenario davvero “unico” che non mi lascia il respiro.

Poco distante, un rudere di un palazzo, forse un hotel, mi avvicino per delle foto ed entro … mentre passo dopo passo sento lo scricchiolìo delle pietre sotto le mie scarpe, telai ormai privi di porte che guardano la desolazione, travi di legno, bottiglie di birra vuote, secchi di vernice ormai vuoti, dentro una stanza … un paio di murales,  uno che raffigura una bambina che piange, una bimba bellissima dai capelli rosso mogano … in ginocchio e con in mano delle casette, tanta malinconia nel vederlo! L’altro, un albero umanoide con i suoi rami che emulano due braccia con le mani in testa, quasi a voler dire: “Cosa ho fatto?” Lascio la vecchia Gibellina per dirigermi a Salaparuta, altro paese raso al suolo e ricostruito altrove… percorrendo una strada sterrata colma di fango e detriti, dopo pochi chilometri arrivo nei pressi del castello del Duca di Salaparuta, che oggi da il nome ad un rinomato vino siciliano.

Anche lì, cumuli di macerie costeggiano una stradina in salita, è tutto ciò che rimane di un paese letteralmente cancellato dalla faccia della terra, tutto attorno è abbandonato, per strada non passa nessuno, la segnaletica stradale è vecchia e piena di ruggine, la vegetazione … impazzita.

Lascio anche Salaparuta e continuo il mio viaggio verso Poggioreale… i paesaggi sono da non perdere, insoliti per uno che come me vive al mare, dentro… solo colline e campi coltivati in vigneti, uliveti e terre colme di meloni gialli e cocomeri… e tanta pastorizia, ma poche persone…
le uniche che ho incontrato le ho incrociate perché è tempo di raccolta delle olive.

Finalmente Poggioreale, ma è la città nuova, quella ricostruita dopo il terremoto, pertanto… avendo la batteria del mio cellulare in vicino esaurimento, preferisco non fotografarla e proseguire dritto… destinazione la vecchia cittadina, quella ormai nota in tutto il mondo come “la città fantasma!”
La mia scelta sarà premiata!!!

Mentre salgo in cima alla collina su una strada completamente abbandonata dall’uomo, il mio sguardo si posa su questo suggestivo paesino e continuo a salire avvicinandomi incuriosito… sulla mia sinistra, l’interesse ricade su una vecchia chiesetta restaurata, mi fermo per fotografarla, poi … continuo a salire in auto… sempre più vicino…

mi rendo conto che qualcosa non quadrava, da lontano si sentiva già un profumo acre di fichi selvatici e abbandono, gruppi di corvi volteggiavano nel cielo… quasi a volermi segnalare il passaggio di proprietà che avvenne in quell’epoca tra l’uomo e l’evolversi della natura.

Posteggio vicino a un capannone immerso nel fango, dove dal suo interno si sentivano solo i grugniti dei maiali in cerca di cibo…
All’improvviso, un cancello difronte a me… con dei cartelli appesi ed un divieto di accesso che mi intimorisce, invitandomi a non proseguire, perché chi viola quelle sbarre è soggetto a sanzioni severissime.

“Non si può entrare? Io mi sono fatto 70 km in mezzo al fango con una panda della quale non riuscivo più a distinguere il colore… e voi qui mi dite che è vietato oltrepassare quel cancello?”
Mi sono detto… “Che mi arrestino pure, ma ognuno di noi… almeno una volta nella vita ha il dovere morale e il diritto della conoscenza, di visitare un posto così!”


… e sono entrato!!!

Appena varcato quelle sbarre, dentro, lo scenario che mi son trovato davanti agli occhi è stato apocalittico, non avevo mai visto nulla di simile in vita mia, una città fantasma mi stava circondando catturando ogni mio sguardo, non sapevo dove guardare prima… eppure mi son portato dietro quanti più dettagli ho potuto, strade ancora asfaltate e avvolte da una folta vegetazione che ha vinto il suo braccio di ferro con l’uomo, case, edifici e monumenti, tutto lasciato come allora, le pietre delle case imprigionavano ancora i segni del passato e mostrano le proprie ferite tenendole paradossalmente in vita in un luogo dove quest’ultima ha fatto il suo corso sbattendo la porta e andandosene via… per sempre!

La piazza del paese (Piazza Elimo), descrive ancora attimo per attimo ciò che avveniva tutti i giorni tra quelle mura, mi è sembrato come vedere attorno a me ancora la vita quotidiana di ogni singolo abitante: Vecchi seduti davanti la porta di casa, le donne tra i fornelli delle loro abitazioni, bambini a giocare per le strade, come ho detto prima, il profumo della natura era forte e per certi versi acre, nauseante, i colori delle pietre, il cinema, luoghi davvero lugubri che ti aprono la mente… e ti tolgono il respiro!

Non puoi andare via da lì senza poi andare a documentarti su quanto visto, in modo da poterlo raccontare…

La scalinata che porta dalla piazza Elimo alla chiesa di Sant’Antonio da Padova, le scale sono ancora intatte, o quasi, molti edifici sono pericolanti ed il rischio che franino ulteriormente è altissimo, anche per via delle piogge che ne indeboliscono seriamente mura e fondamenta, altri sembrano invece ancora conservare un equilibrio stabile, ma mostrano le proprie evidenti rughe, in piazza, una lapide costruita nella memoria dopo il terremoto recita:

“Ho visto di notte una luce accendersi dentro ai tuoi occhi, terra amata, ardenti, di speranze antiche, nonostante il grido del  futuro spezzato, il silenzio solitario degli anni. Sei fonte di vita Poggioreale! Montagna del risveglio.”

Non credo serve aggiungere altro, un paese morto che lascia le sue spoglie alla polvere e, come una fenice, rinasce a pochi chilometri di distanza, lasciando in lontananza … il ricordo di un tempo che fù e che oggi non c’è più!
Chi non c’è mai stato, almeno per un giorno … decidete di lasciare le vostre pantofole, mettetevi in auto e fate anche voi un giro da queste parti, fate anche voi … un salto nella memoria!

Questo slideshow richiede JavaScript.

Guarda l’intero album su facebook!!!

Memmo Gambina