Speleotrekking allo Zingaro

Quando? Una domenica di fine maggio:  soleggiata, senza un alito di vento.  Dove? In un posto incantevole: la Riserva Naturale Orientata dello Zingaro. Chi? Un gruppo (una trentina di persone), eterogeno per età, esperienze, provenienza “messo insieme” da un’associazione, il Gruppo Ambientale Speleologico Trapanese, che fa dell’amore per l’ambiente e del desiderio di accompagnare alla conoscenza delle tante meraviglie del nostro territorio (le grotte su tutto) il proprio intento principale; una guida, il suo presidente, appassionata e attenta (e non sono di parte!). Perché? Per un’unica passione comune: “scaminare”!

La giornata comincia neanche troppo presto: il primo appuntamento è alle 8.00 del mattino, gli altri, nei luoghi individuati per andar incontro alle esigenze di tutti, via via a seguire. Il gruppo, così, piano piano si compone: zaini e cappelli di ogni colore; capelli lunghi, corti, chiari, scuri, brizzolati…; sorrisi ed entusiasmo, diffusi e contagiosi. Un po’ in ritardo rispetto alla prevista tabella di marcia (d’altronde, siciliani siamo!) arriviamo all’ingresso della Riserva. Il primo passaggio, come sempre, prevede la distribuzione ai partecipanti dell’attrezzatura necessaria all’esplorazione della grotta: caschi e luci essenzialmente. Adesso siamo davvero pronti! Una lunga fila di escursionisti si snoda lungo il sentiero, gli sguardi si spostano di qua e di là: è uno spettacolo! Il mare a sinistra, di un azzurro quasi trasparente; le palme nane, la macchia mediterranea (le ginestre, i cespugli di rosmarino…) che  accompagnano il cammino con i loro colori e con i loro odori; il calore del sole, che, forse perché maggio ha fin qui fatto i capricci, a me pare, anche quando si fa più forte, un vero regalo… Dopo aver camminato per 20/25 minuti ci fermiamo per la prima sosta “didattica”: siamo alla grotta dell’Uzzo. La nostra guida ce ne spiega la genesi e le caratteristiche: qualche domanda, tante foto, singole e di gruppo e si riparte. Fin qui il tragitto è stato piano, adesso comincia la salita, qualcuno inizia a sentire la fatica  ma, grazie alla “dolcezza” del pendìo, alle rassicurazioni degli speleologi (i ripetuti: “l’ultima curva è!” ),  ai tanti incontri e agli altrettanti “buongiorno”,  “buonciorno”, “buongiornò”, la meta, 40 minuti dopo, è raggiunta: siamo alla Grotta del Sughero! Comincia la “vestizione” (complicata dall’accoglienza festante delle zecche che, d’altronde, sono a casa loro…): i pantaloncini vengono sostituiti da pantaloni lunghi e tute; i caschi vengono sganciati dagli zaini e posizionati in testa; le luci via via accese.  E’ il momento più atteso, l’entrata in grotta: chi ha già fatto l’esperienza è curioso di conoscerne una nuova, di risentirne gli odori, di ammirarne le meraviglie; chi non c’è mai stato è spesso combattuto tra eccitazione e timore, tra il desiderio di fare l’esperienza e la paura di qualcosa che non conosce. Cominciamo a scendere la scaletta che conduce giù, a uno a uno, attenti e cauti,  e, poi, aiutati da una corda (il terreno è scivoloso) e guidati dagli speleologi, ancora più giù in un grande atrio dove, tra qualche risatina per le nostre goffaggini e la soddisfazione di essere lì, ci fermiamo a guardare, ascoltare, sentire. Ci dividono in due gruppi: a turno ci addentreremo nella grotta, nel frattempo un geologo risponde alle domande di chi aspetta. Gli altri, intanto, vanno. Cominciano le strettoie, le salite, le discese (“dove lo metto il piede?”, “come scendo?”, “dammi la mano”, “fai come me”…),  le soste dinanzi alle tante formazioni: stalattiti, stalagmiti, vele, colonne, c’è persino un laghetto…, le curiosità, le spiegazioni… Ho imparato che in grotta bisogna ascoltare e fare quello che ti dicono quelli che sono più esperti di te, fidarsi, di se stessi e di chi conduce, non esagerare mai  e aiutarsi a vicenda. Tutto questo crea un clima quasi magico: un doppio filo, con se stessi (ritrovando sensazioni, attivate dai colori e dagli odori, arcaiche, primitive, profonde…)  e con gli altri (in un “uno per tutti e tutti e per uno” che amplifica, mi pare,  gli effetti dell’esperienza).

Usciamo dalla grotta, infangati, anzi infangatissimi, soddisfatti di noi e di ciò che abbiamo visto, e, un po’ alla spicciolato, ci dirigiamo verso il mare: Cala dell’Uzzo aspettaci! La cala è piena di stranieri che, incuriositi, ci vedono arrivare, spogliarci di corsa e tuffarci in un’acqua fresca (fredda, per alcuni) e trasparentissima. Ci godiamo il meritato riposo: c’è chi mangia  panini, chi “spillucca” un po’ di frutta, chi alterna tuffi e sole, chi ricerca l’ombra, sullo sfondo chiacchere, risate, giochi con l’acqua…

Un po’ riluttanti riprendiamo il cammino, qualcuno saluta, qualche altro decide di restare. Dopo una breve sosta al museo del mare, con gli ultimi intrepidi decidiamo di fermarci a Tonnarella dell’Uzzo per un ultimo bagno (o per gli ultimi panini) tra occhiate e saraghi che sguizzano tra le nostre gambe, per niente spaventati!

Sono le 18.00 ed è ora di tornare: mi volto indietro, guardo il mare e scatto la mia unica foto: Zingaro, alla prossima!

Giancarla Fodale