Omaggio a Carla Accardi

Questa volta siamo andati scaminando tra i “sentieri” dell’arte, per visitare una mostra davvero d’eccezione, quella della nota artista trapanese Carla Accardi che si sta tenendo in questi giorni a Trapani, nei prestigiosi locali di Palazzo Milo. Lo abbiamo fatto con una “penna d’autore”, Peppe Occhipinti, professore di Economia, pittore per essenza, che ha realizzato numerose mostre , tra cui “Astrazione Fatale” collettiva a cui partecipò anche Carla Accardi. Artista a cui si ispira e che traccia il suo cammino nella pittura.

 

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Un omaggio a Carla Accardi, la signora dell’Astrazione Italiana, viene tributato dalla sezione di Trapani della FIDAPA, nella sede della Soprintendenza di Palazzo Milo Pappalardo in via Garibaldi 70. Una piccola ma deliziosa mostra che indaga le opere dell’artista nelle collezioni trapanesi. Organizzata con criteri scientifici ha consentito autentiche scoperte. Come i cinque ritratti e un piccolo paesaggio che risalgono alla prima metà degli Anni ’40. Quando la Accardi si “dilettava” nella pittura e nel disegno, prima di trasferirsi a Roma, nel 1946, per frequentare l’Accademia di Belle Arti.

Si tratta di opere inedite che necessariamente arricchiranno il “corpus” accardiano. Nonostante la sua scelta della capitale come città d’elezione,  l’artista tornerà ogni estate a Trapani, dove era nata nel 1924, a trovare i genitori nella casa di famiglia in via Bellini, in un palazzo umbertino di fronte alla Villa Margherita, con dei balconi da cui si vedeva il mare e che a lei ricordavano i balconi dipinti da Matisse sulla Costa Azzurra. Fu così almeno fino al 1986 quando la casa fu venduta dopo la morte dei genitori.

In quei ritorni ritrovava vecchi amici e compagni di scuola che la invitavano nelle case di villeggiatura in campagna e che lei si deliziava a riprendere in veloci schizzi  acquerellati. Tre dei quali,  proposti in mostra, conservano ancora oggi una loro innegabile freschezza. Si tratta di una Accardi privata quella rivelata da questi lavori ben lontana dall’artista “rivoluzionaria” che tutti conoscono. Quella che insieme ad un gruppo di “compagni” nel marzo del 1947 firmò un manifesto che fissava i cardini di una innovazione della ricerca artistica in Italia. Ricerca che, superando il vincolo anche politico della rappresentazione realistica, privilegiava la forma nelle arti visive. “Forma” si nominò perciò quel gruppo che vedeva insieme a lei artisti come Antonio Sanfilippo, diventato in seguito suo marito, Pietro Consagra, Piero Dorazio e altri assurti poi a fama internazionale.

Quella fama arrise alla Accardi quando nel 1954, dopo un periodo di crisi, trovò una sua personale cifra stilistica che la avrebbe contrassegnata e distinta durante tutta la sua lunga carriera. Fu allora che nacque la sua pittura di “segno”. Una scrittura al negativo, segni bianchi su fondo nero, ad alta intensità emotiva che ora si aggroviglia, ora si distende allontanandosi verso i margini,  quasi a protendersi alla conquista dello spazio.

Il critico Achille Bonito Oliva nella presentazione in catalogo della mostra al Castello di Rivoli nel 1994, ricordava come quel contrasto iniziale tra due colori in opposizione dialettica “persiste e si rinnova quando i segni nel campo pittorico diventano colorati ed i colori di ugual forza sono accoppiati a contrasto in una tensione capace di provocare un effetto retinico che causa un apparente movimento di sicura matrice matissiana.

Questi passaggi di cui parla il critico è possibile seguirli passo passo in mostra. Dalle opere degli Anni ’50, con i segni neri su campo bianco, a quelle del decennio successivo, là dove i segni rossi tracciati sul fondo verde sembrano pulsare ritmicamente come avviene nei lavori di Mark Tobey e in quelli di Capogrossi, fondatori della pittura astratta di segno e suoi innegabili riferimenti artistici. Il periodo della durata di un quindicennio in cui la Accardi si dedica alla “antipittura” e, abbandonata la tela, sperimenta altri materiali come supporto, viene documentato per immagini, con foto, locandine e riviste. Uno di questi fu il sicofoil, una plastica industriale rigida, ricavata dall’acetato di cellulosa, con una capacità intrinseca di catturare la luce su cui segni colorati accardiani sembrano muoversi in un vuoto ottico. Fu quello il tempo della “Tenda” (1965) e della “Triplice tenda” (1969-1971) proposta in una pubblicazione della ” Galleria Salvatore Ala” di New York in cui fu esposta nel 1988.

Quello stesso anno l’artista aveva avuto una sorta di consacrazione ufficiale con una sala personale alla Biennale di Venezia curata da Giovanni Carandente. In quella sala aveva presentato i risultati della sua nuova ricerca. Dipinti su tela grezza. Uno di essi è presentato nella sala a piano terra del Palazzo Milo Pappalardo. E’ una delle 20 opere che compongono questo piccolo ma significativo omaggio che Trapani dedica alla sua artista di maggiore prestigio.. In mostra è anche visibile una video intervista registrata in occasione della Antologica (opere dal 1947 al 1997) che la città le dedicò nel 1998 nell’affascinante spazio della Badia Grande. Fu quella l’ultima volta che l’artista venne a Trapani. Attiva fino all’ultimo giorno  della sua vita, come Michelangelo, come lui si spense a Roma all’età di 89 anni.

L’organizzazione della mostra “Carla Accardi nelle collezioni trapanesi” è stata affidata alle cure della professoressa Anna Maria Precopi Lombardo che ha anche “scoperto” le opere nelle singole collezioni. Allestimento, impaginazione e contributo scientifico sono stati di due giovani studiose laureate in Storia dell’Arte: Carla Ricevuto ed Eleonora Tardia. Entrambe,  nella conferenza di presentazione, hanno illustrato i criteri che hanno mosso il loro lavoro e la loro ricerca, mentre dei rapporti dell’artista con la sua città d’origine ha trattato chi  qui scrive. Una “live performance” con la voce recitante dell’attrice Simona Malato accompagnata al contrabbasso dal musicista Lelio Giannetto ha concluso l’incontro. L’omaggio, sentito, ma breve e veloce, si consumerà nell’arco di tre giorni. Chiusura il 13 maggio. La pubblicazione di un catalogo documenterà l’evento.

Peppe Occhipinti   

 

(Introduzione e foto di Roberto Mazzeo)