Il volo delle colombe tra le due sponde del Mediterraneo

Un ponte immaginario unisce le due sponde del Mediterraneo: da un lato c’è la Sicilia, dall’altro il Nord Africa. Un tempo unite o via mare con appena un giorno ed una notte di navigazione. O attraverso il volo delle colombe, che oltre a scandire il ciclo delle stagioni permettevano lo scambio delle comunicazioni da un lato all’altro. Allora non c’era internet, né il servizio postale. E le informazioni viaggiavano sulle ali delle colombe. Un sistema antichissimo, che risalirebbe ai tempi dei cartaginesi, oltre che affidabilissimo, visto che il loro istinto porta le colombe a tornare sempre a “casa”. Dove sono nate e cresciute.  Una volta arrivate a destinazione con il i loro messaggi, che andavano dalle comunicazioni militari ad ordini commerciali per spedire merce e quant’altro, tornavano dall’altra parte via mare, trasportate dentro le gabbie con le navi che facevano da spola tra Sicilia ed Africa. I due “piloni” di questo ponte immaginario erano da un lato Cartagine. Dall’altro Drepanon. Poi diventata Drepanum con l’arrivo dei Romani dopo la battaglia delle Egadi del 10 marzo del 241 a.C. Poi ci furono altri dominatori. Dopo i Bizantini, nell’ottocento dopo Cristo ci furono gli arabi. Poi i Normanni. Ed altri ancora. E Trapani, per la sua posizione strategica, stando al centro del Mediterraneo, era crocevia di popoli e scambi commerciali. Punto di incontro tra culture. E di saperi che si intrecciavano. In un continuo flusso di persone e merci. E anche di comunicazioni. La centrale di smistamento di questo sistema di informazioni era proprio la Colombaia. Con la sua maestosa Torre Peliade che si dice risalirebbe ai tempi del generale cartaginese Amilcare Barca. Furono proprio i cartaginesi a fortificare Drepanon. Trasformando il primo nucleo originario, il villaggio emporio sorto su un isolotto col suo porto naturale, che i fenici chiamavano Darban, in una città con mura e torri difensive. E nella estremità di Nord Est, nella parte opposta della Colombaia, i punici costruirono anche il Castello di Terra. Una delle cinque torri presenti nello stemma della città. Trapani cominciò a prendere forma. Ma di quelle originarie torri, mura e castelli oggi resta ben poco. Quasi nulla. Solo la Colombaia, dal suo isolotto, è riuscita ad arrivare ai giorni nostri. Tutto sommato in buono stato. Certo, andrebbe recuperata e valorizzata. Ma per lo meno non è stata buttata a terra. Il fatto che sia ancora in piedi è già una gran cosa. Altri monumenti non hanno avuto la stessa fortuna, come lo stesso Castello di terra, che invece è stato quasi del tutto demolito. Della storica costruzione resta solo una parete sul lato Nord che si affaccia sul lungomare Dante Alighieri. Che peccato. Oggi avremmo avuto un castello nel cuore del centro storico. Ma è andata così.

La Colombaia ha invece resistito. Rappresenta un po’ una capsula del tempo che abbraccia tre millenni di “trapansità“. A conferma della sua antichità in città c’è un detto che dice tutto sugli anni del castello di mare: “si chiu vecchio ra culummara” proprio per apostrofare chi ha una certa età. Quelle mura hanno visto nascere, crescere e cambiare la città. Che ha conquistato spazio dal mare, prima a Ponente e poi a Levante, arrivando fino alle pendici di monte Erice. Il Castello di mare ha “sentito” parlare le lingue di tutti i popoli che hanno messo piede a Drepanon. Ed oggi ci racconta più di due mila e trecento anni di storia. Alcune delle quali ci riportano indietro ai tempi della dea Venere ed al sacro volo delle colombe. Perché se da un lato l’uomo utilizzava quelle “addomesticate” per comunicare con Cartagine e dintorni, dall’altro c’erano invece le colombe, sacre alla dea dell’amore, che andavano a svernare in Africa. Tornando in Sicilia durante la bella stagione. Un flusso migratorio che faceva da calendario per segnare l’inizio o la fine dell’estate. “Ummerno” e a “staciuni”. Nel dialetto siciliano non esistono infatti né autunno né primavera. L’inizio di una stagione per cedere il passo all’altra anticamente era indicato con due precisi momenti: l’Anagoghia il 25 ottobre e la Katagoghia il 23 aprile. Ad ottobre, con il freddo invernale ormai alle porte, le colombe spiccavano il  volo verso l’Africa per poi fare ritorno ad aprile con il ritorno delle temperature più miti. E l’Anagoghia e la Katagoghia, rispettivamente il volo delle colombe verso il mare e dal mare, anticamente erano due ricorrenze celebrate con cerimoniali e feste al Castello di Venere di Erice, con le jerodule, le sacerdotesse sacre alla dea dell’amore. E l’attività del tempio era anche scandita dal volo delle colombe. Quando andavano via per l’inverno il tempio chiudeva. Quando invece tornavano dal mare, il tempio riapriva le porte. Ed era festa grande. Ma il loro rientro ad Erice, come la loro partenza verso l’Africa, era segnata da una sosta alla Colombaia per potere ricaricare le forze prima della traversata nel Canale di Sicilia. Questo del resto è l’ultimo lembo di terra prima di indirizzarsi verso la Tunisia. Quindi oltre al “ponte” tra la Sicilia occidentale ed il nord Africa, ce ne era un altro, più piccolino, che univa Trapani ad Erice, la Colombaia con il Castello di Venere. Ed ancora oggi questo legame ideale tra i due simboli più importanti delle due città rivive due volte l’anno in occasione della rievocazione storica ideata e promossa dal professore Salvatore Corso, profondo conoscitore della storia del territorio con molte pubblicazioni al suo attivo, coinvolgendo le scuole e con il supporto del Movimento Cristiano lavoratori e diverse associazioni, continuando così a tenere viva la memoria dell’Anagoghia e della Katagoghia. Facendo indossare ai giovani i panni di jeroduli e jerodule. Con tanto di sbarco dal Lazzaretto, canti, danzi, antichi giochi e lettura di brani che portano indietro nel tempo di millenni. Riti antichissimi, incentrati sul culto di Afrodite, rievocati nelle città di origine elimo-puniche, ovvero Marsala (Mothia/Lilybeo), Segesta, Trapani ed Erice. E per il prossimo anno si punta ad andare a Cartagine. Da queste parti l’altro “pilone” del ponte immaginario tra le due sponde del Mediterraneo era il tempio di Sicca Veneria (El Kef). Ad Erice c’è invece quello di Venere. Un legame, che affonda le origini nell’antichità, e che ancora oggi continua a volare sulle ali delle colombe, dando un messaggio di integrazione e di fratellanza tra i popoli. All’insegna della pace. E dell’amore tra la gente del Mediterraneo. Del resto sono sacre ad Afrodite…

Mario Torrente