La città del blu e dei ponti dell’accoglienza

Una delle tante leggende sulle origini della città narra che Trapani sia nata dall’amore tra il cielo ed il mare. E mai come in questo caso un mito sembra così ben ancorato alla realtà. Certo, l’antico villaggio-emporio sorto su un isolotto tra scogli e canali, poi diventato una “città-castello” fortificata con mura, torri e bastioni, non c’è più. Ma ancora oggi, nonostante l’espansione urbanistica ed i nuovi “confini” dell’intero centro urbano, che sono arrivati fino alle pendici di Monte Erice, la città falcata è riuscita a conservare la sua proiezione verso le tante gradazioni che dal blu vanno al celeste e viceversa. A volte diventando un tutt’uno. In certe giornate di bel tempo, quando madre natura è particolarmente di buon umore, la linea dell’orizzonte non si distingue: così mare e cielo sembrano unirsi in un grande abbraccio. Diventando una sola cosa.

In questa stupenda scenografia, che spazia dal più semplice azzurrino alle mille sfumature di blu, prende forma una lingua di terra che si allunga verso il mare.  Quasi fosse un ponte proteso nell’infinito. Da sempre luogo di incontro tra diverse culture. Qui, su questa falce, che si dice sia arrivata dal cielo, direttamente dalle mani di Saturno dopo avere evirato il padre Urano o, secondo un’altra leggenda, dal carro della dea Cerere mentre cercava la figlia Proserpina rapita dal dio degli inferi Plutone, sorge Trapani. La città cullata dalle onde e accarezzata dal vento. Dove la salsedine entra fin dentro le case. E nei cuori di chi c’è nato. Dove mito e storia si intrecciano da sempre. Dove anche gli scogli narrano di antiche leggende. Di divinità pagane e popoli provenienti da terre lontane. Di Madonne arrivate dal mare. Di Re, dame e cavalieri. Di mercanti e schiavi. Di racconti di mare su galee, velieri o semplici schifazzi. A caccia di pesci o di chissà quali tesori. Ed ancora storie di di pirati e corsari. Sia che fossero saraceni, razziando e saccheggiando le nostre coste, che corsari trapanesi. Andando a fare altrettanto, schiavi compresi, nel Nord Africa. Non di rado dal mare arrivavano minacce e pericoli. Ed allora era meglio cercare riparo in luoghi sicuri. Il nemico era sempre in agguato a quei tempi. Non a caso Trapani era circondata da possenti mura e presidiata dalle sue torri che scrutavano verso il mare. Con il suo “porto dei Re” e la Colombaia che da millenni continua a starsene “silenziosa” in quell’isolotto davanti la città. Custodendo, tra le sue possenti mura, tutti i segreti e le vite che ha visto passare all’ombra della Torre Peliade. Fin dal tempo dei Cartaginesi. E forse anche prima.

Trapani è lì, nel bel mezzo del Mediterraneo. Con le sue saline, i canali e ciò che resta dei mulini. Con il bianco dei moderni palazzi che si sposa con quello delle onde e delle nuvole, spesso in un gioco di riflessi e contrasti cromatici. Sono passati tanti secoli ma è rimasta “bianca come una colomba”, come venne descritta nel 1185 dal geografo arabo Ibn Giubayr. Protesta, con la sua caratteristica forma a falce, verso le acque del Tirreno da una lato, del Canale di Sicilia dall’altro. Nel mezzo le isole Egadi, quasi le “sentinelle” di questo regno dalla infinita bellezza da sempre crocevia di popoli. Snodo di passaggio di merci e persone. Ma soprattutto porta di ingresso, in entrambi i “sensi di di marcia”, tra le due sponde del Mare Nostrum. Del resto la storia di Trapani è quella dei popoli che sono arrivati dal mare. A partire dagli Elimi. E poi i Fenici, i Cartaginesi ed i Romani. Ed ancora Bizantini, Arabi, Normanni, Angioini, Aragonesi e via via per arrivare fino ai giorni nostri. Anche  l’Italia s’è fatta dal mare con lo sbarco dei Mille nelle coste della Sicilia occidentale, in quel di Marsala. Così come, duemila anni prima, l’Impero Romano iniziò il suo predominio nel Mediterraneo con la battaglia delle Egadi del 241 a.C.

Fin dalle origini la storia della Sicilia è stata caratterizzata da flussi migratori. Sia che fossero nuovi conquistatori, così come, i “rifugiati politici” di tutte le epoche e la gente che scappava dalla guerra e dalla fame in cerca di una nuova vita. La storia segue sempre un comune denominatore. E torna sempre. Del resto tra i primi ad essere sbarcati nelle nostre coste ci potrebbero essere gli esuli Troiani scampati alla distruzione della loro città nel 1184 a.C. Naturalmente ci addentriamo negli anfratti della mitologia greca, andando a leggere ciò che è arrivato ai giorni nostri dalle antiche fonti. Ed anche le pagine dell’Eneide di Virgilio. Dove si parla di Drepanum e di Erice. Città che, così come Segesta, si dice che sia stata fondata dagli Elimi. Insomma, fin dalle origini è stato così. Con qualcuno che, tra chi scappava dalle guerre, occupazioni più o meno pacifiche e vere e proprie invasioni,  arrivava da altre parti mettendo radici in queste terre, fertilissime e bellissime, autenticamente tra cielo e mare. Sia come esuli che come nuovi conquistatori. Ma alla fine, fatte le guerre e sparso un bel po’ di sangue, scattava il meccanismo dell’integrazione tra vincitori e vinti.  Alle condizioni dei primi, si intende. Ma tenendo presente i principi della tolleranza religiosa. A Trapani, anticamente, convivevano pacificamente culti diversi. In città c’erano chiese, moschee e sinagoghe. Cristiani, musulmani ed ebrei coabitavano in un clima di rispetto reciproco. Questo clima di tolleranza è stato documentato nelle cronache dei viaggiatori arabi che visitarono la Sicilia nel decimo secolo, restando colpiti proprio dai buoni rapporti tra le varie comunità religiose. Sono passati secoli ma ancora oggi, dalle parti di Mazara del Vallo, musulmani e cattolici convivono pacificamente senza particolari problemi. Anzi, la comunità nordafricana rappresenta una vera e propria risorsa per la città siciliana. Sicuramente un modello di integrazione che porta a crescita e benessere per tutti.

Le differenze hanno sempre portato una valore aggiunto. Un arricchimento per la comunità. Certo, ai tempi non mancavano gli scontri e gli attriti. Ed i momenti di tensione. Come ovvio. Ma alla fine si affermava il principio della pacifica convivenza. Di questo antico retaggio è rimasto oggi il senso dell’accoglienza. Che fa parte nel nostro essere isola, ma non solo. Da qui, del resto, sono praticamente passati tutti. E molti sono rimasti, arricchendo il dna, e le abilità, delle genti di Trinacria. Anche il popolo dei Siculi, che ha poi dato il nome all’isola, si dice che sia arrivato dalla penisola italica, insediandosi nella parte orientale. Alla fine integrandosi con i Sicani, che già vivevano in Sicilia. Così come come i Ciclopi, con entrambi gli occhi e non uno solo come vengono raffigurati, che avrebbe abitato per primo l’isola. Questo il primitivo popolo di pastori e agricoltori si amalgamò con i nuovi arrivati. E le generazioni che vennero dopo con i dominatori e i migranti che si sono susseguiti nei secoli. E con quelli arrivati successivamente. Portando progresso e crescita. Perché il più delle volte chi arrivava, e si fermava, aveva in dote qualcosa di nuovo, un proprio know-how che contribuiva a migliorare le competenze. Così è venuta fuori la Sicilia che conosciamo tutti che è figlia, piaccia o non piaccia, di millenni di migrazioni. Gastronomia e prelibatezze culinarie comprese. Ma anche nell’agricoltura, con i gustosissimi e coloratissimi frutti della terra. E la variegata architettura, la cultura e le tradizioni.

Tante delle cose, rinomate nel mondo, che oggi fanno parte a pieno titolo del nostro patrimonio provengono da “oltre mare. Siamo in pratica figli di tutti i popoli che nei millenni hanno messo piede nell’isola. E sono stati davvero tanti. Alimentando una evoluzione che ci ha portato fino ad oggi ad essere ciò che siamo. Che dire poi della lingua, quel siciliano che certamente va ben oltre il semplice dialetto. E’ qualcosa di più che racchiude i suoni e le parole di intere generazioni che hanno conosciuto, ed imparato, da chi proveniva da fuori. Portando sempre qualcosa di nuovo e di utile da imparare. Migliorando e trovando il modo di produrre per assicurare sostentamento alla comunità. In tutti i settori. Come estrarre il sale dall’acqua del mare. O la capacità di navigare spingendosi oltre la linea dell’orizzonte. I primi ad esportare l’arte della navigazione, oltre che l’alfabeto ed una miriade di prodotti e merci,  furono i Fenici. Poi ne arrivarono altri. E l’abilità marinara si andò perfezionando sempre più. Fu così che i trapanesi diventarono i migliori. Arrivando a navigare negli oceani di tutto il mondo. Furono “mastri” anche nella realizzazione delle barche di ogni tipo e forma. Ed a terra nella costruzione di palazzi e monumenti.

Tutta la storia di questa città è fatti da pezzi di puzzle arrivati da altre parti. E subito assorbiti nel patrimonio collettivo della conoscenza. L’ingegno umano ha poi fatto tutto il resto, sperimentando e migliorando. Imparando così a controllare e incanalare la forza del vento in vele e mulini. A pescare i pesci di ogni dimensioni fino ai grandi tonni utilizzando un sistema di reti piuttosto complesso. A tirare su dagli abissi il corallo facendolo diventare opera d’arte. L’elenco è lungo e abbraccia tutte le componenti del “sapere” e del “saper fare” che fanno parte delle nostre città, con al seguito usi e consuetudini. Mestieri e abilità. Pregi e difetti. E tutti quei contrasti che rendono unica ed irripetibile questa terra e le sue genti. I siciliani sono figli di questo mix di popoli. E  Trapani, da sempre, per la sua posizione strategica, proiettata com’è, col suo porto, al centro delle rotte del mare tra l’Africa e l’Europa, è stata il ponte dei flussi migratori nel Mediterraneo. Il crocevia degli spostamenti di persone da una parte all’altra del Mare Nostrum. Di arrivi e partenze. Da sempre città dell’accoglienza, dell’integrazione e della capacità di utilizzare ciò che proviene da fuori a proprio vantaggio. Trasformandolo in valore aggiunto per la comunità. E ancora oggi, piaccia o no, continua ad essere una porta di ingresso. O di partenza. Questa è la sua storia da sempre. Ed il futuro, fino a quando ci saranno uomini e donne in cammino mossi dalla speranza, non potrà che essere questo. Tra gente che se ne va in cerca di un futuro migliore altrove. Emigrando. E chi invece sbarca qui per costruirsi una nuova vita. Diventando una risorsa per la comunità. E per certi versi assicurando un ricambio. Arricchendo una terra che da sempre si regge sull’immigrazione. Perchè lo straniero, in Sicilia, è Sicilia!

 Mario Torrente

(foto Mario Torrente)