La città castello…che non c’è più!

Quando una foto diventa uno spunto di riflessione. Questo è il versante Nord del  centro storico di Trapani, con le mura di Tramontana, la “chiazza” e le cupole delle chiese di San Lorenzo e San Francesco. Spesso immagino come doveva essere originariamente l’antica “Drepanon”, quando, con le sue torri, i bastioni, le porte e la cinta muraria appariva come una vera e propria “città-castello“, completamente circondata dal mare e collegata a Levante alla terraferma da un ponte levatoio. Tra scogli, isolotti e “varche” che navigavano nei canali. Trapani era il suo porto, le botteghe, le chiese. I mulini e gli schifazzi. Vele, reti e cime. Con la sua gente di mare e di terra. I contadini, gli artigiani ed i salinai. I suoi pescatori ed naviganti cresciuti a pane e remi. Da sempre abilissimi marinai che hanno saputo navigare ovunque. Prima nelle acque del Mediterraneo. Poi negli oceani di tutto il mondo. Come abilissimi era i mastri d’ascia ed i calafaturi. Ed ancora i i corallai, i mercanti e tutti quei mestieri hanno fatto muovere per secoli una città tra le più importati e strategiche del mar Mediterraneo. Con il sudore della fronte e la caparbietà di un popolo che è sempre stato un tutt’uno con la sua terra ed il mare che la circonda. Che qui è sempre stato tutto. Innanzitutto fonte di sostentamento. Poi un orizzonte da esplorare. Ed una strategica porta di ingresso in un mondo carico di bellezza e risorse. Per secoli conteso da più popoli.

Allora Trapani era “invittissima e fedelissima, per il coraggio e l’amore dei trapanesi verso la loro città; il colore rosso granata nello stemma di Trapani ricorda proprio questo legame ed il sangue versato da intere generazioni “trapanisi” per difendere la loro “città-castello”. Ai giorni nostri, però, le cose sono cambiate drasticamente: le mura non ci sono più, demolite dall’Unità d’Italia in poi quando la città falcata non fu più piazza d’armi. Così delle antiche fortificazioni, dei bastioni, delle torri e della Trapani antica è rimasto ben poco. Quasi nulla. E quel poco che ancora sta in piedi è inaccessibile. Chiuso. Luoghi pieni di storia, come i Bastioni Conca, Imperiale e dell’Impossibile sono off-limits. In alcuni casi la mano criminale dei vandali ha lasciato distruzione e devastazione, come avvenuto per il Bastione dell’Impossibile,tutt’ora in condizioni di degrado e abbandono dopo i lavori di restauro che avevano restituito ai trapanesi questo autentico “gioiello” con cinquecento anni di storia al seguito. Che peccato! E stiamo parlando di ciò che resta di alcuni “pezzi” di una città che re Carlo V, durante una sua visita a Trapani nell’agosto 1535, definì la “Chiave del Regno”. Ma oggi le porte ed cancelli dei presidi di quel grande impero sono sbarrati. Non si può entrare.  Quasi un paradosso per la città che passò alla storia come la “chiave” di un impero dove si diceva che non tramontasse mai il sole. Tanto era vasto. Chissà se prima o poi, magari usando anche un semplice chiavistello, quelli del “volere è potere”, si riuscirà ad aprire al pubblico i tre bastioni sopravvissuti al trascorrere del tempo ma soprattutto alle scelte degli uomini. A volte poco lungimiranti in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico.

Oltre ai bastioni sono arrivati ai giorni nostri alcune delle antiche torri presenti nello stemma della città. Un tempo erano cinque, ovvero la Torre Pali, la Torre Vecchia, la torre di Porta Oscura, la Colombaia ed Castello di Terra. Qualcosa ancora resiste. E’ ancora in piedi, restaurata nei secoli ma comunque sempre nella sua originaria posizione, la Torre di porta Oscura, chiamata anche dell’orologio, proprio affianco Palazzo Cavarretta, che delimitava l’originario quadrilatero del centro abitato. Trapani, alle origini, ad ovest finiva (o iniziava) all’altezza della via Torre Arsa. Da li in poi era tutto un susseguirsi di scogli ed isolotti. Riempimento dopo riempimento la città si è andata allargando a Ponente prima fino alla zona di piazza Generale Scio. E successivamente verso il Lazzaretto (un tempo l’isola di Sant’Antonio) e Torre di Ligny. Ma li prima c’era il mare. Un’altra torre arrivata ai giorni nostri sana e salva (ma potrebbe stare meglio) è quella della Colombaia, l’antico Castello di mare, uno dei monumenti più antichi della città. La fortezza, simbolo di Trapani e del suo legame con il mare, che da anni attende di essere ristrutturata e valorizzata. La struttura originaria, la Torre Peliade per intendersi, risale ai Cartaginesi, ai tempi del generale Amilcare Barca e delle guerre puniche, così come il Castello di Terra, nella parte opposta, di cui resta solo il rudere del muro lato Nord alle spalle della Questura. Tutto il resto del forte venne demolito decenni addietro. I “resti” dell’antico edificio si possono vedere ancora sul lungomare Dante Alighieri. Se a suo tempo non fosse stato abbattuto, oggi Trapani potrebbe avere un “signor” Castello nel suo centro storico da potere visitare. Magari con al suo interno un museo o altre aree e servizi a disposizione dei cittadini e turisti. Ma allora furono fatte altre scelte. Così come avvenuto per altri edifici, strutture e monumenti. All’epoca visti come “vecchiume”. Oggi,invece, sarebbero delle vere e proprie risorse, soprattutto in chiave turistica. Ma ormai è andata. 

Anche le porte di accesso sono state cancellate. Nel 1500 se ne contavano tredici. Oggi resta solo porta Oscura, l’unica arrivata a noi che faceva parte nell’originario nucleo di Drepanum quando il centro abitato finiva in via Torre Arsa. Fu por re Giacomo nel 1200 a bonificare la parte occidentale colmando tutta la zona fino a piazza Generale Scio dove sorse il quartiere Palazzo, oggi conosciuto come San Lorenzo. Quindi Trapani inizialmente si andò allargando urbanisticamente verso Ovest. Il che fece scattare l’esigenza di abbattere le fortificazioni che delimitavano il lato delle via Torre Arsa realizzando una nuova cinta muraria. Porte comprese. In questa fase vennero anche realizzate due strade che ancora oggi segnano la conformazione del centro storico: la Rua Grande e la Rua Nuova, rispettivamente Corso Vittorio Emanuele e via Garibaldi. A Levante, bene o male nelle zona della via XXX Gennaio, Trapani restava invece sempre delimitata dal fossato dal canale navigabile, che univa il mare di Mezzogiorno con quello di Tramontana, con i ponti levatoi e le porte e le porte di ingresso via terra che nel 1300 erano Porta Nova e porta Vecchia o de Castello di Terra. Naturalmente tutto questo versante è stato raso al suolo. Restano solo il Bastione dell’Impossibile  ed i ruderi del Castello. Stessa sorte per gli accessi lato Sud che, sempre nel 1300 erano la porta del Comune (la zona dovrebbe coincidere con quella della Banca d’Itala), porta dei Pescatori “di lu Casalicchio”, porta Torre Pali anche detta Porta Galli (dove oggi c’è via Galli), Porta Grande, anche detta dei Genovesi o Porta Maris o del porto, all’altezza della via Verdi. A queste nel Quattrocento si aggiunsero porta Ossuna e la porta di Sant’Antonio “di lu porto”, che si trovava dove oggi sorge il palazzo dell’ex Grand Hotel. Mario Serraino nella sua “Storia di Trapani” fa un dettagliato elenco delle porte della città, che a Nord erano tre: Porta Botteghelle, di “lu pannizzaro”, nei pressi della chiesa di Santa Maria del Carmine, e porta della Boccheria, detta poi porta Felice, a piazza Mercato del Pesce. A Ponente, dopo l’ampliamento voluto nel 1200 da re Giacomo, c’era la porta Eustacchia, chiamata anche la porta dei Pescatori di “lu palazzu”, che guardava praticamente verso piazza Generale Scio. Dove c’era il mare con una serie di scogli ed isolotti. Su uno di questi c’era il convento dei Cappuccini. Di tutte queste porte l’unica antica via di accesso sopravvissuta è porta Botteghelle, sul lato delle mura di Tramontana, vicino al Bastione Conca, con la sua spiaggia nel cuore del centro storico. Un unicum tutto trapanese. Sicuramente uno degli scorci più belli della città. Nella parte opposta, lato porto, perfettamente in asse con l’accesso settentrionale, fino a qualche decennio addietro c’era invece porta Ossuna, anche chiamata porta Serisso, dal nome del pirata (nel Canale di Sicilia c’erano sia quelli saraceni che i corsari siciliani) o forse mercante (le versioni della storia sarebbero due) che abitava nei paraggi. Uno dei tanti racconti trapanisi narra del tradimento della moglie di Felice Serisso con uno schiavo moro. I due amanti scapparono da Trapani ma Felice Serisso riuscì a trovarli, uccidendo prima lo schiavo turco e poi la moglie infedele, a cui tagliò la testa che mise in un sacco, portandosela con se. Dopo aver consumato la sua vendetta, una volta rientrato a Trapani conficcò in un palo proprio davanti casa la testa decapitata della moglie. A memoria di questo vecchio femminicidio, per usare un termine dei giorni nostri, oggi, nell’angolo tra la via Serisso e viale Regina Elena, c’è una targa con la testa di una donna in marmo che ricorda questa storia di corna finita a malo modo. Proprio lì, fino a pochi decenni addietro, resisteva (superando le prime demolizioni e successivamente le bombe della seconda guerra mondiale), porta Ossuna. Ma anche questa venne rasa al suolo. Esattamente come le altre porte che per secoli hanno visto passare gente del luogo, forestieri, mercati, naviganti eserciti e sovrani. Come nella porta Reggina, nella zona del porto, vicino a dove dove oggi c’è la Casina delle Palme (anch’essa con i cancelli chiusi al pubblico!), da dove entravano in città i sovrani e le persone importanti che sbarcavano in quello che era soprannominato “Il porto dei Re“. Ed ancora il baluardo San Giacomo ed i bastioni San Francesco, San Vito, Dogana e Sant’Andrea, o del Gallo. Sempre rispolverando un po’ di storia trapanese, che andrebbe raccontata ogni giorno a grandi e piccini per tenere viva la memoria di ciò che eravamo. Un grande popolo, fiero e molto legato alla sua città. Tra l’altro all’epoca piuttosto importante. 

Insomma, la Trapani antica è stata letteralmente smantellata. E non solo da un punto di vista architettonico. Nel corso del diciannovesimo e ventesimo secolo ha radicalmente cambiato aspetto. Sicuramente trasformandosi in un luogo più moderno, spazioso ed aperto rispetto al nucleo originario racchiuso nella cinta muraria della città- castello. Ma quel poco che rimane della cittadina medievale, descritta da geografo arabo Ibn Giubayr “cinta di mura, bianca come una colomba“, purtroppo non riceve la giusta attenzione. Tutt’altro. Troppi monumenti chiusi. Inaccessibili a cittadini e turisti. Ed intanto la storia della Drepanon appare sempre meno apprezzata. Con i suoi miti e le leggende che rimanderebbero, a leggere un po’ di libri, alla mitica Scheria dei Feaci o all’originaria Camesena dei Fenici. Nome che sarebbe stato mantenuto anche dai cartaginesi. La città di Cam. Quel Cam che ancora oggi compare nella scritta ai piedi della statua di Saturno nella piazza antistante la chiesa di Sant’Agostino. E dove potrebbe essere indicata la (possibile?) data di fondazione di Trapani. Ai tempi fu il Senato di Trapani, volendo mantenere la tradizione pagana delle origini della città, a volere incisa questa frase sulla base della statua. “Cam Ego ipse Saturnus superae aliti Drepanum subdensum erex post mundi annum MDCCCCXXV“, che tradotto vuol che Cam/Saturno ha eretto Trapani nel 1925 dalla creazione del mondo. Come scrive Mario Serraino nella sua “Storia di Trapani” (una collana di libri che vi consiglio di leggere), anticamente l’anno zero coincideva con il diluvio universale, che secondo la Genesi avvenne nel 3308 a.C. Numeri alla mano la data di fondazione di Trapani potrebbe essere il  1383 avanti Cristo. Anno più anno meno. Quindi addirittura molto prima della caduta di di Troia nel 1260 a.C. Il che farebbe dell’originario emporio, poi diventato villaggio e chiamato prima Camesena e poi Drepanon, una delle città più antiche della Sicilia. Addirittura antecedente anche a Cartagine, datata attorno all’814 a.C.

In Sicilia, secondo questa ricostruzione, come “età” Trapani sarebbe seconda solo ad Enna, l’antica capitale dei Sicani. Naturalmente è sorta dopo Erice e Segesta, senza ombra di dubbio i più antichi siti della Sicilia occidentale, le cui origini rimandano agli Elimi. Per il resto tutti gli altri centri dell’isola sorsero dopo, sempre a spulciare un po’ di volumi (oltre ai testi di Mario Serraino sono sicuramente da consultare  i libri del professore Salvatore Costanza, corredate tra l’altro da molte foto e antiche immagini e quelli del professore Salvatore Corso) che raccontano la storia della città falcata  o ascoltando le parole (ricordo ancora i pomeriggi in redazione trascorsi con Enzo Tartamella “assorbendo” la sua grande conoscenza dell’universo trapanese) di tutte quelle personalità del mondo della cultura, storici e studiosi che hanno dedicato tanti anni della loro vita tra archivi, documenti e di tutte quelle (in molti casi davvero poche) fonti a disposizioni per ricostruire le fasi della crescita della città. Dove purtroppo restano davvero pochissime tracce dell’originario nucleo abitativo, il “quadrilatero” di poche centinaia di metri di altezza e lunghezza costruito, come vuole la tradizione, nella zona del quartiere “Casalicchio”, dove oggi c’è la chiesa di San Pietro, non a caso rinomata come la più antica di Trapani. Che, così si racconta, sarebbe stata costruita dove originariamente sorgeva il tempio di Saturno, un tempo il patrono della città. Naturalmente di quelle colonne non resta traccia. Esattamente come non c’è testimonianza alcuna degli  altri edifici  pagani e di tutte quelle costruzioni, i monumenti e le statue che sono state erette e poi demolite nel secoli. Strati di pietre e cantuna scomparsi. A volte riciclati per fare altri fabbricati. Oppure rimasti sotto terra. Chissà quali segreti potrebbe nascondere Trapani nelle sue viscere. Forse  niente di che, o magari qualche cunicolo sotterraneo che porta non si sa dove. Ma è comunque bello poterci fantasticare su, cercando di immaginare quel mondo antico. Dove la sopravvivenza non era così scontata e la fame, le guerre e le malattie erano sempre dietro l’angolo. Ma il passato intriga sempre. Non è solo voglia di conoscenza e di sapere di più. Ma anche amore verso la propria terra. Ed un irrefrenabile desidero di restarci. Possibilmente facendo tutto il possibile per migliorarla. Ciò ci rende uomini e donne degni della grande bellezza di questi luoghi. E soprattutto i custodi dei sui tanti tesori.

Eh… già! Perchè di “scrigni” da aprire in questo angolo di Trinacria ce ne stanno davvero tanti. E non è che bisogna andare in cerca di chissà quali truvature o scavare sotto terra per trovare i forzieri del passato pieni d’oro e argenti. Qui ci sono tesori ben più grandi che appartengono a tutti per diritto di nascita. Quelli più a portata di mano se ne stanno negli scaffali della biblioteca tra le pagine dai tanti libri che raccontano la storia trapanisa. Tutti da leggere (e rileggere) per capire chi siamo davvero. Magari conosciamo alla perfezione la storia studiata nei banchi di scuola o quella dell’Unità d’Italia per poi ignorare le nostre origini. Che, credetemi, vale la pena approfondire. Poi ci sono altri “tesori”. Quelli dei luoghi, i monumenti e gli angoli più o meno noti del centro storico. E non solo. Dove magari passiamo ogni giorno per andare al lavoro. Ignorandone i segreti. E le tracce di quegli uomini e donne che per secoli sono stati simbolo di coraggio e fedeltà. Scoprendo così che l’apatia dei giorni nostri è un’invenzione della modernità. I trapanesi erano gente dalla forte tempra, con tanto di attributi. Già dai tempi delle guerre puniche, quando un certo Rodio, un eroico pescatore trapanese, andò a sabotare ripetutamente le navi dei Romani mentre erano alla fonda. Trapani allora era cartaginese. Ed a quanto pare non se la passava così male se il popolo trapanese era tanto fedele alla città nord africana da arrivare a resistere valorosamente e fino alla fine all’avanzata del nascente impero Romano. Trapani fu l’ultima roccaforte in Sicilia ad essere conquistata dai Romani. Insomma, le cose da raccontare, da queste parti, sono davvero tante. Sempre con il comune denominatore del grande patrimonio di bellezza, natura, cultura e tradizione che ha sempre dominato questa lingua di terra circondata dal mare e dall’altissimo potenziale. Che in larga parte resta sottoutilizzato. Ed il resto dell’hinterland non scherza nemmeno. Con le saline che passando da torri, mulini, canali ed un habitat unico regno di oltre duecento specie di uccelli, arrivano fino allo Stagnone e quindi a Marsala. Oppure la costa settentrionale che abbracciando tutto l’Agroericino dai golfi di Bonagia e Macari porta al mare di San Vito ed allo Zingaro.

E poi c’è Erice, con il suo Monte incantato, i miti della dea Venere che aleggiano attorno al Castello, le millenarie mura elimo-puniche che ancora svettano verso il cielo con i blocchi megalitici. Il borgo medievale è stato conservato intatto, con le sue strade selciate, la case di pietra e le antiche porte. Ancora regolarmente in funzione tranne porta Castellammare, di cui restano comunque i ruderi. Insomma, tutto l’opposto di quanto avvenuto a Trapani. Che nonostante tutto resta comunque una città meravigliosa. Come tutto il suo hinterland. Un territorio unico che incanta tutti i visitatori che mettono piede in queste zone, regno di bellezza e di buoni sapori. A partire da quelli della tavola, frutto di una gastronomia impareggiabile dove tradizione e qualità prodotti locali si intrecciano in un mix di bontà senza paragoni. Dove il punto di partenza, o di arrivo, fate vobis, resta Trapani, con il suo porto ed una città ricca di storia e miti raccontati tra i vicoli, le strade a “serpente” di matrice araba fatte così per tagliare il vento. Tecnica utilissima in un posto esposto a tutti i quadranti e spesso flagellato dai venti. Ed ancora le chiese, gli stemmi dei palazzi che qui “parlano” e narrano di storie senza tempo indissolubilmente legati ai luoghi. Scogli compresi. Come quello del “Maloconsiglio“, proprio davanti Torre di Ligny, che, secondo una leggenda popolare, era una nave di pirati pronta a saccheggiare il centro abitato. Davanti alla minaccia i trapanesi chiesero aiuto alla Madonna, che intervenne trasformando la nave con tutti i pirati a bordo in quello scoglio dalla forma così strana. Secondo un’altra leggenda, in questo scoglio che tanto ricorda proprio una barca, con la prua che emerge dalle onde, si sarebbero riuniti Giovanni da Procida, Palmerio Abate, Alaimo da Lentini e Gualtiero da Caltagirone alla vigilia di Vespri Siciliani del primo aprile 1282 per organizzare la rivolta contro gli Angioini.

Qui, del resto, i racconti si intrecciano sempre con il mare, per poi addentrarsi tra vicoli e strade curvilinee che tanto ricordano la Quasba araba. In un miscuglio di odori e sapori che abbraccia le specialità della gastronomia, con l’odore del cucinato che diventa un tutt’uno con la salsedine che attraversa da un lato all’altro questa lingua di terra accarezzata dal vento e solleticata dalle onde. Le cui origini rimandano alla dea Cerere ed al ratto di Prosperpina. O al dio Saturno ed alla falce usata per tagliare i genitali ad padre Urano. Il cui sangue, cadendo su questo angolo di Sicilia, avrebbe reso le terre trapanesi così fertili e generose nella produzione agricola. Leggenda su leggenda, dunque. Ma in entrambi in casi, sia per Cerere che per Saturno, c’è una falce che cade in mare da cui nasce Trapani. Miti che ancora oggi campeggiano, nella frenesia dei tempi moderni che ci portano sempre ad andare di fretta senza mai fermarci ad osservare i “dettagli”, tra le vie del centro storico, come nella piazzetta dove c’è la fontana di Saturno, uno dei pochi simboli pagani che sono sopravvissuti all’avvento del Cristianesimo. Evidentemente perchè il richiamo alle origini divine era troppo forte e sentito nella comunità trapanese. La statua si trova davanti la chiesa di Sant’Agostino, una delle più antiche ed importanti, costruita addirittura dai templari ai tempi delle Crociate. Da quelle possenti mura sono passati tanti eserciti e cavalieri che andavano a combattere in terra santa. E nella chiesa di San Domenico, c’è anche una cappella, chiamata “dei Crociati”, con una finestra che guarda in direzione di Gerusalemme. Trapani, del resto,  è sempre stata un autentico crocevia di popoli, dove c’è tanta di quella storia e leggenda da rendere orgoglioso qualunque popolo. Ma la Sicilia è la terra dei contrasti. E delle stranezze. Accade così che una città tra le più antiche della Sicilia, si ritrovi oggi “spenta”, senza prospettive e con una grande patrimonio di fatto inutilizzato. In molti casi del tutto abbandonato ed offeso. Il più delle volte proprio da chi dovrebbe invece difendere con i denti quelle “mura” , nel senso più ampio del termine, così come facevano i loro antenati a suo, di spade e colpi di cannone. Dando la vita piuttosto che arrendesi. Altri tempi.

I trapanesi oggi sembrano invece avere perso amore per la loro città. Non tutti, per carità. Ma molti, troppi, cittadini mostrano poco attaccamento e scarso interesse. Magari a parole siamo tutti con Trapani nel cuore. Sicuramente quelli che sono andati via, costretti ad emigrare per studiare e lavorare, ne sentono parecchio la mancanza. La nostalgia è dura. La casa è casa. Quelli che invece sono rimasti, probabilmente, lasciatemi passare questo incoraggiante “probabilmente”, danno tutto per scontato. Al punto da non apprezzare. Spesso, anzi, disprezzando, denigrando e sminuendo. Arrivando anche, nelle peggiore delle ipotesi a deturpare, sporcare e distruggere. Per ignoranza, noia o semplice imbecillità. Magari c’è chi, lasciatemi passare questo ottimistico “magari”, fa poco o niente per migliorare la propria città. Pur potendo dare un grande contributo, anche nei piccoli gesti. O c’è chi se ne frega proprio. Offendendo la memoria ed il dna del popolo trapanese. Quello che nei secoli ha saputo trovare un posto di primo piano in quella storia che oggi si tende a dimenticare. Purtroppo certi atteggiamenti, sempre più radicati nella comunità trapanese del secondo millennio, sembrano non promettere nulla di buono. Ben si sa, sono le persone che vivono nei luoghi ad elevare o affossare le loro città. Qui per ora tutto sembra andare verso un grande affossamento di massa. A scapito anche di chi, e sono tanti, ama la propria città e vorrebbe vederla sempre più bella. Ricca e fiorente. Civile e accogliente. Quel ponte nel Mediterraneo che è stato fin dalle origini, con i suoi castelli, le torri ed i bastioni, Ma questa sembra l’epoca della crisi d’identità di un’intera collettività. Alle prese con una totale mancanza di prospettive. Di speranza. Di coraggio. Di fiducia. Anche perché si continua a fare i conti con i problemi di sempre. Ed a lungo andare,prima o poi, scatta una fisiologica stanchezza e rassegnazione.

L’elenco delle occasioni perse è lungo. Lunghissimo. E riguarda, oltre che la città dimenticata, anche tutti quei trapanesi che hanno smarrito la consapevolezza del loro essere comunità. Perdendo quel senso di appartenenza che affonda le radici in millenni di storia. Non secoli, ma millenni. Hanno resistito a guerre, dominazioni, carestie e sventure varie. Ma Trapani è sempre là. Nonostante tutto, nonostante le bombe cadute dal cielo che hanno davvero rischiato di cancellare la città durante la seconda guerra mondiale. Trapani ha saputo resistere, rimanendo al suo posto. Con i trapanesi che nei momenti più difficili hanno saputo trovare la forza per rialzarsi. Nonostante la difficoltà del momento. Ogni tanto sarebbe giusto ricordare loro da dove provengono e cosa hanno saputo fare per la loro città intere generazioni di trapanesi. Non solo difenderla a costo della vita. Ma anche farla crescere, conquistando spazi dal mare e vincendo la sfida delle onde di un’isolotto circondato da scogli e canali. Un popolo industrioso ed operoso, fiero, caparbio e coraggioso, che produceva e andava avanti. Arrivando anche ad autotassarsi per avere un teatro come si deve. Era il “Garibaldi”, inaugurato il 15 ottobre del 1849 con il  nome di “Real teatro Ferdinando” durante il Regno delle due Sicilia per poi cambiare nome dopo l’unità d’Italia: sorgeva dove oggi si trova il palazzo della Banca d’Italia. Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale venne danneggiato e piuttosto che ripristinarlo (non fu raso al suolo ma colpito in alcune parti…insomma, si sarebbe potuto salvare lasciandolo in piedi e recuperandolo successivamente) si preferì abbatterlo. Come tante altre cose considerate “vecchie”. Questo episodio probabilmente ha segnato un punto di rottura tra una Trapani e l’altra. Sicuramente non con la “nuova” città. Ma con un contesto urbano dove si è preferito demolire piuttosto che conservare un patrimonio antico che sarebbe potuto arrivare ai giorni nostri. Come il Castello di terra ed altri edifici storici e monumenti simbolo di ciò che è stata Trapani in passato. Come le porte ed altri pezzi di storia che andavano tutelati già allora. Tipo il Garibaldi/Real teatro Ferdinando. Con la scomparsa del teatro della città, che non è stato mai più ricostruito, si cancellò un “polmone” della trapanesità, un luogo di arte e cultura che andava preservato. Così come tanti altri “tesori” della “città-castello” che non c’è più. Ma che, piaccia o non piaccia, continua a vivere nei cuori dei trapanesi che amano la loro terra circondata dal male. E che, nonostante tutto, non cambierebbero per nessun altro posto del mondo. 

Mario Torrente