Il Monte devastato dalle fiamme

Passato il fuoco, resta la devastazione. Chissà per quanto tempo ancora. Sono trascorsi poco più di sette mesi da quando la montagna di Erice s’è ritrovata, per l’ennesima volta, avvolta dalle fiamme. Due volte, in maniera grave, la scorsa estate nell’arco di un mese. Prima a fine giugno, poi i primi di agosto. Quelle date non me le sono dimenticate. Ed ho ancora vive nella memoria le immagini di quel fuoco che divorava tutto, minacciando case e gli animali di Martogna. Ed arrivando poco sotto il centro abitato del borgo medievale. Con tanti uomini e donne tra le fiamme a rischiare la pelle per salvare il Monte. Il 27 e 28 giugno andò a fuoco il versante Nord di Martogna-Guastella-Castidastu per arrivare fino a Fontana Rossa e Bonagia, “sfiorando” il bosco di San Matteo e passando per Fontana Bianca e Pizzolungo. Furono ore da incubo. Ingenti i danni. Poi venne agosto, ed il giorno sette, mentre a Trapani si festeggiava Sant’Albero, il Monte si ritrovò nuovamente avvolto dalle fiamme, col fumo colorato del rosso del tramonto che puntava dritto verso il centro storico della vetta. Quel pomeriggio bruciò il lato che si affaccia sull’Agroericino, da sopra l’ingresso per l’area di San Matteo fino alla Casazza, entrando dentro l’antico bosco di Erice, poco sotto porta Spada. Praticamente quasi in paese. Le fiamme risalirono per la montagna in pochissimo tempo, arrivando a minacciare, per l’ennesima volta, il borgo medievale. Rimasto per di più isolato, visto che vennero chiuse sia la strada per Trapani che quelle per Valderice, entrambe circondate da fumo e fiamme. La terza via di collegamento, quella dei Difali, resta ancora interdetta al traffico, nel suo tratto centrale, a causa dell’incendio del giugno 2015. Si resta ancora in attesa che vengano ripristinate le condizioni di sicurezza per permettere agli automobili di tornare a percorrere questa strada.

Le “ferite” degli incendi della scorsa estate, che hanno mandato in fumo più di settecento ettari di montagna tra macchia mediterranea e alberi, sono ancora visibili. Queste foto, scattate a febbraio, a sette ed otto mesi di distanza dai roghi estivi, ritraggono alcuni scorci per documentare come si presenta oggi la montagna tra San Nicola ed il Castidastu, sul versante che guarda su Trapani, oltre che sotto la Casazza, sul versante di Cofano, altra zona distrutta dal fuoco. Ma andando in giro in altre parti del Monte, si trovano le stesse scene. Spesso con veri e propri “cimiteri” di alberi, resti di incendi di diversi anni fa. Il quadro che ne viene fuori è di assoluta devastazione, quello di una montagna purtroppo con sempre meno boschi e aree verdi. Un tempo non era così. Il Monte era avvolto da una grande criniera verde, al cui interno pulsava vita, con abbondante e variegata flora e fauna. Quel mondo adesso è un ricordo. Oggi la scena è diametralmente opposta. E le zone colpite dal fuoco hanno un non so che di girone dantesco. Questo è il Monte che stiamo consegnando ai nostri figli…

Intere pinete non esistono più. Centinaia di alberi sono morti, ormai ridotti a scheletri senza più una sola goccia di linfa che scorre nei loro rami: e prima o poi seccheranno del tutto e verranno giù. Non danno più ossigeno e non colorano più di verde questa martoriata montagna. Addentrandosi per sentieri e stradine sterrate il quadro che ne viene fuori è di una tristezza devastante, con grovigli neri di furono rigogliosi alberelli che chiudono il cuore. Quella che potrebbe essere una meravigliosa e rigenerante passeggiata nella natura finisce col diventare un avvilente “viaggio” nelle desolazione. Questo dovrebbe essere il paradiso per gli escursionisti. Ma la distruzione causata dall’uomo ha finito col segnare negativamente il paesaggio anche qui. Nella montagna che fu della dea della bellezza. Pure gli spettacolari panorami su Trapani ed il mare delle Egadi appaiono spogli, vuoti in alcune parti del puzzle dell’incanto che ha sempre caratterizzato questi luoghi. Manca qualcosa. Già, gli alberi!

Certo, con l’avvicinarsi della primavera la natura comincia a riprendersi  i suoi spazi, con le piante e l’erbetta che tornano a colorare ciò che le fiamme hanno annerito per mesi. Ma per gli alberi non c’è più nulla da fare. Il loro destino è stato segnato dalla quei roghi che hanno divorato tutto. E minacciato pure abitazioni e terreni privati. Seminando paura. E rabbia, per questi ripetuti scempi. Anche perché nel versante tra Martogna e San Nicola stavano prendendo forma tante piccole pinete, che da qui a qualche anno sarebbero potute diventate rigogliosi boschi. Ospitando uccelli e chissà quanti animali. Purtroppo anche questa occasione è sfumata. E la montagna di Erice si ritrova sempre più defraudata del suo patrimonio ambientale. Di quegli alberi che con le loro radici ancoravano il terreno, garantendo la tenuta di interi versanti, non resta più nulla. Chissà se ne cresceranno altri. Sicuramente quelli bruciati andrebbero rimossi. Chissà se e soprattutto quando si procederà ad una bonifica per come si deve. Chissà quando ci sarà vera attenzione, con azioni concrete e mirate, per la salvaguardia di questo Monte, con una storia antica millenni. Ed un futuro quanto mai incerto.

Al momento nelle zone colpite dagli incendi non si vede traccia di intervento. Addirittura in altre parti della montagna ci sono ancora gli alberi bruciati da incendi di anni e anni fa. Dove i tronchi e rami secchi non sono stati rimossi. Creando cataste di legna secca, tutt’altro che rassicuranti in materia di antincendio. In un contesto simile basta poco per fare scoppiare un inferno di fuoco. E nelle altre montagne del Trapanese il quadro che si presenta è pressoché  identico,  con il sottobosco avvolto da erbacee, rami e alberi secchi a terra. Un po’ di manutenzione aiuterebbe a proteggere i pochi polmoni verdi rimasti. Difendendoli dalle tante minacce che ogni anno, con una puntualità e metodiche quasi scientifiche, ne mettono in repentaglio l’esistenza.

La scorsa Italia la Sicilia è stata tra le regioni più colpite dagli incendi. Ed un triste primato è andato alla provincia di Trapani: siamo ultimi nelle classifiche sulla qualità della vita, ma in quelle in materia di incedi e superficie bruciate occupiamo il podio. Non solo non riusciamo a valorizzare il nostro patrimonio, ma lo facciamo andare in cenere. Per di più senza correre ai ripari. Non basta andare a spegnere il fuoco quando folli mani criminali decidono di “accedere” al primo soffiar di Scirocco o di Grecale che sia. Gli incendi si vincono con la prevenzione. E lasciare le montagne in queste condizioni equivale a dire ai piromani: “prego, accomodatevi e fate ciò che volete”.

Ancora prima dei viali parafuoco, bisogna mettere mano alla seria bonifica dei boschi colpiti dai roghi. Possibilmente iniziando a parlare di rimboschimento, ma piantando piante e alberi strategici alla lotta agli incendi.  Magari alternando diverse tipologie di specie in base alla resistenza al fuoco e creando cosi dei “muraglioni” verdi. Lo sanno anche i bambini che i pini sono delle torce. Meglio se si proteggono con alberi che bruciano più lentamente e che magari riescono a sopravvivere alle fiamme. Le tecniche ci sono e chi fa questo per mestiere sa bene cosa fare. A loro spetta il compito occuparsi della tutela del patrimonio ambientale. Ma devono essere messi nelle condizioni di lavorare.

Per essere chiari, smantellare la Forestale non risolve nessun problema. Tutt’altro. Aggrava una situazione già difficile di suo. Altro aspetto è migliorare e riorganizzare il tutto. Ottimizzando le risorse, le somme stanziate ed il know-how a disposizione. Magari stabilizzando quelle unità che servono ad assicurare la manutenzione dei boschi per tutto l’anno. In modo da arrivare preparati con le “scadenze” di ogni inizio estate, quando le temperature torride si sposano a nozze con il fuoco appiccato ad arte dai malintenzionati di turno. Alla favoletta dell’autocombustione non ci crede più nessuno.

Insomma, c’è poco da girarci attorno: per difendere e fare crescere i nostri boschi servono i forestali. Ma il corretto funzionamento di questa “macchina” spetta alla Politica. Scritta di proposito con la “P” maiuscola. Con l’auspicio che chi è chiamato a ricoprire ruoli di governo sappia individuare le giuste priorità e le più appropriate metodologie per raggiungere risultati in materia di ambiente. Trovando il sistema per tutelare il patrimonio boschivo siciliano, con azioni di prevenzioni in primo luogo, oltre che con azioni di controllo e sorveglianza, anche ricorrendo alle nuove tecnologie. I rimedi ci sono. Basta semplicemente passare dalle parole alle vie di fatto. Prima che quest’isola si trasformi in un grande deserto. Il rischio, oggi più  che mai, è quanto mai concreto…

Mario Torrente