Il piede del diavolo

Erice è un luogo magico, dalle mille bellezze, ricco di storia e miti che echeggiano per le viuzze ed i sentieri del borgo medievale. Ed una di queste leggende è rimasta impressa nelle millenarie mura ciclopiche a suo tempo erette a difesa del centro abitato. Andando in giro per i boschi della vetta, nei pressi di porta Spada, ci si imbatte infatti in uno strana forma, un solco che ricorda tanto la sagoma di un’orma: è il piede del diavolo!

Si narra che nei tempi lontani, quando santi e diavoli giravano per il mondo, un diavolaccio arrivò ad Erice in cerca di anime. Giunto al Monte con le sembianze di un vecchio pellegrino, infreddolito per la neve che avvolgeva la Vetta, rubò il manto di velluto dalla statua della Madonna che era custodita nella chiesa di Sant’Orsola, proprio nei pressi di porta Spada. Quel giorno anche San Cristoforo si trovava ad Erice e si accorse della presenza del diavolo con addosso il manto dell’Addolorata. Dopo essersi concretizzato nella statua in legno che lo raffigurava, custodita nella chiesetta di piazza Carmine, iniziò a seguire la scia di zolfo lasciata dal diavolaccio e nei pressi di porta Spada San Cristoforo cominciò a suonargliele di santa ragione, cacciandolo fuori dalle mura del paese. Mentre scappava il diavolaccio chiese aiuto agli altri satanassi degli inferi che aprirono un passaggio nel bel mezzo del bosco. Fuggendo si diede la spinta su uno dei blocchi delle mura ciclopiche, dove lasciò impressa la sua orma, ancora oggi ben visibile. Si dice che da allora San Cristoforo non sia più tornato ad Erice. Il diavolo, invece, ogni tanto fa qualche capatina su al Monte, per incontrare i suoi “corrispondenti”, ovvero i pettegoli ed i maldicenti. Ma entra ed esce per il paese senza passare da porta Spada. Quell’orma impressa sulle mura gli rievoca ricordi non belli!

Questa leggenda è stata narrata dal professore Vincenzo Adragna nel libro “La messa del prete morto“, dove è possibile leggere tante altre storie ericine che fatto parte della tradizione popolare della comunità muntisa. Prima di lui fu lo scrittore e poeta ericino Ugo Antonio Amico a scrivere alcune delle storie che fanno parte del patrimonio della comunità della vetta, un  tempo narrate oralmente e adesso conservate in questo volume. Il professore Adragna prese spunto, oltre che dai racconti popolari, anche dalla raccolta di Amico, aggiungendo alcuni racconti, come quello della “Manuzza” e del “Piede del diavolo“. Tra le storie contenute nel libro ci sono “Spiriti a San Giovanni”, il “Tesoro maledetto” ed il “Cane nero“, quest’ultimo tratto da un manoscritto secentesco di Antonino Cordici. Tra le più famose c’è “La messa del prete morto” ed il “Piede del diavolo”. Ascolta il racconto della leggenda del piede del diavolo fatto da Nello Savalli.

Il piede del diavolo si trova nei pressi di porta Spada. Dal piazzale bisogna scendere dalla piccola scalinata a sinistra delle mura: la forma dell’orma si trova subito dopo gli scalini sulla destra. Proseguendo nel sentiero, entrando nel bosco, si arriva in uno dei punti più suggestivi di Erice: una vera e propria veranda mozzafiato che si affaccia sul golfo di Bonagia e su monte Cofano. Qui il panorama è davvero d’eccezione, circondati dal fruscio delle foglie degli alberi e dal cinguettio degli uccelli. Il senso di pace e di quiete che si gode da questo posto è davvero incomparabile. Poco sopra si trovano i ruderi dell’antico cimitero ebraico, quasi coperto da vegetazione e sterpaglie. Sullo sfondo, le antichissime chiese medievali di Sant’Orsola e Sant’Antonio, tra i “gioielli” religiosi di Erice. Continuando per il sentieri si arriva al Quartiere Spagnolo, un tempo guarnigione militare. La caserma non venne mai completata e tutta d’un tratto fu abbandonata dai soldati spagnoli che preferirono andare nelle case degli ericini. Si dice a causa della presenza di fantasma che infestò la caserma. Ed in questo luogo, davvero particolare, echeggia proprio un’altra leggenda, quella di Berretta Rossa, il cui spettro si aggirerebbe ancora nella zona del Quartiere Spagnolo. Ma questa è tutta un’altra storia…

Mario Torrente