Decompressione celeste

Può succedere che ti venga in mente di fissarti sulla geomorfologia del territorio e guardare verso i cocucci più distanti, alti, magnetici. A quel punto cercherai una strada, una mulattiera, una pietraia che non sarà mai abbastanza impervia da farti desistere, e la seguirai fino a quel lontanissimo e pizzutissimo cocuccio di montagna.
Ad un certo punto osserverai la tua casa, non il tetto che ti ripara, ma quell’immensa porzione di Sicilia che il tuo sguardo riuscirà ad abbracciare.
Poi scruterai verso il tuo mare, non il filamento di acqua salata ed agitata che accarezza la costa ma quel blu dall’estensione così smisurata da non essere neanche lontanamente intelligibile.
Infine ti soffermerai sul cielo. Il cielo che conosci è come una tela delimitata da una cornice quasi sempre inappropriata, che sia formata dai palazzi di una città, dal bordo di una finestra, dal parabrezza di una macchina o da qualsiasi altra interferenza più o meno geometrica. Nel preciso istante in cui, da una quota sufficiente, avrai realizzato che le vertigini non sono dovute all’altitudine, ti renderai conto di avere tutti i sintomi della malattia da decompressione celeste.

Giuseppe D’Alì

(Nella foto D’Alì il panorama da monte Sparagio, con i suoi 1110 metri il promontorio più alto della provincia di Trapani)